Capitolo XVIII

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Hyris, 23 agosto 1997

Fa un caldo terribile, credo che le piastrelle di marmo si stiano squagliando sotto le suole.

I miei occhi e quelli di Patrick escono dalle orbite a forza di tirare lo sguardo attraverso la nebbia torrida pur di sapere a quanto ammonta il ritardo del volo da Varsavia.

Non capisco come faccia l'aeroporto di Cork, così piccolo, a contenere questa moltitudine di persone in attesa davanti al separé che nasconde il corridoio di accesso alla pista di atterraggio.

Noi siamo due di loro, schiacciati tra tre guide che attendono il gruppo di turisti ed una coppia di signori che impugnano due bouquet di rose più grandi di loro.

Al pensiero dell'aria fredda sparata in viso dal potente condizionatore della Range Rover di mio fratello, mi sento leggermente sollevata. Ma ciò non toglie che la mia fronte continui a sudare imperterrita e che il rimmel mi si stia squagliando sugli zigomi.

«Sarebbero dovuti arrivare un'ora fa!» esclama nervosa la voce di Patrick, che sta sfregando sui polsi una bottiglietta d'acqua gelata.

«Come facciamo con il parcheggio? Il biglietto è già scaduto» gli ricordo.

«Non importa, pago la multa a costo di rimproverarlo» sbuffa tirando fuori l'Oxis. Aspira dal tubetto, chiude un secondo gli occhi e lo rimette dentro.

«Ma non è colpa sua se hanno iniziato l'imbarco quaranta minuti dopo!» esclamo tentando di sembrare distaccata di fronte ai suoi attacchi d'asma che, anche se lui sa controllare, mi preoccupano molto.

L'aereo in questione è quello proveniente dall'Olanda, che Elvis, il mio secondo fratello maggiore, ha preso per arrivare a casa dopo il semestre di studi ad Amsterdam.

Alcuni passeggeri fanno capolino dalla tenda, ma provengono dal volo di Capo Verde. Mi perdo ad osservare gli incontri dei parenti, amici e compagni con i passeggeri atterrati.

Una donna dalla pelle scura, con il sorriso carezzevole e i capelli ribelli, trasporta due robusti portapacchi straripanti di valigie imballate.
Non ha nemmeno il tempo di orientarsi che subito una bambina corre verso la sua direzione. Stringe forte i fianchi della mamma, saltellando perché si accorga della sua presenza.
Nel frattempo si avvicina un signore dall'aspetto dimesso e umile, che tiene un'altra bimba appena nata. Quest'ultima si guarda intorno smarrita, con degli enormi occhi scuri.
Il marito la guarda come se non credesse di averla vista. Poi, vedo il suo volto dipingersi del più bel sorriso che abbia mai visto fare.
Si abbracciano impacciati, tra valige e manine di bimbi, lei nasconde un pianto di gioia sotto la sua maglia.
Tutti li osservano: sono i protagonisti, in questo momento. Sono al centro della scena, o meglio il loro amore è al centro della scena. Alcuni applaudono, commossi.
Io invece sto in silenzio, un po'nascosta. Ma sorrido come non facevo da moltissimo tempo. Hanno realizzato un sogno: una famiglia che è la più bella di tutte, perché è imperfetta, dolce e unica. Vorrei tanto essere felice come loro, un giorno.

***

Non appena il numero del volo esce dalla fascia dei ritardi arrivando al posto degli atterrati, Patrick esulta pieno di enfasi, a voce alta. Certi si voltano e lui, rosso in viso, si abbassa dietro la mia schiena.
Sorrido e gli afferro il braccio tirandolo su. Venticinque anni, laureato e con una relazione stabile, ma nonostante ciò è lo stesso bambino scherzoso e iperattivo di quando giocavamo a rubabandiera in cortile.

Ancora un po' di attesa e finalmente incominciano ad uscire il comandante, gli assistenti e le hostess.

All'improvviso vedo un intruso.
Come posso non riconoscere a distanza mio fratello, il solo e il più vero per me, l'unica camicia stropicciata tra le uniformi che svolazza per stare al passo spedito di una delle ragazze che chiudono la fila?

«Vaarwel, licht van mijn ogen!» dà l'addio sbracciandosi verso la conquista fuggente.

Inciampa tra le valigie delle altre hostess ma riesce a rimettersi in equilibrio.
Prima individua me, poi corre incontro ad entrambi.

Se prima per l'urlo di Patrick certi si erano girati, ora proprio tutti ci fissano divertiti, qualcuno anche applaudendo con battute e risolini.
Cerco di eliminare tutto ciò che sta attorno a me, aspirare il profumo di colonia della pelle e sentirmi a casa, protetta dalle sue spalle in un abbraccio stretto, anche quando mi solleva da terra facendomi girare.
Dopo tutta la mia vita insieme a lui, è come ritrovare me stessa. Un abbraccio di vita. Sento la nostra bellezza risollevarmi dal buio.

Patrick spezza il momento e riprende il controllo della situazione come sanno fare solo i fratelli maggiori. Chiede dove sia il settore per ritirare le valigie imbarcate, quindi Elvis gli fa strada verso una zona periferica dell'aeroporto.

Non c'è così tanta gente come di fronte al tabellone, per fortuna. Almeno possiamo tirare un respiro fuori da quella bolgia di gente.

«Una a testa, ok? Hyris, se non ce la fai dimmi» ordina di nuovo Patrick controllando che i bagagli siano tutti qui.

«Certo, perché tu sì che sei il culturista...»

Io ed Ev ridacchiamo scambiandoci un'occhiata.

«Come sarebbe a dire? Toh!» Il finto muscoloso impugna il trolley più ingombrante e tenta di sollevarlo, fallendo miseramente.

«Ma che diavolo c'è qui dentro?» strilla mollando la presa e facendo ricadere il carico sul rullo con un tonfo.
Io ed Elvis scoppiamo a ridere, e solo dopo esserci ripresi andiamo ad aiutarlo.

Dopo aver caricato tutto sulla Rover, Patrick accende il motore in direzione Cork.
In tre ore potremo dirci tutto quello che ci siamo persi, stare vicini come abbiamo sempre fatto.
Mi racconta che ha conosciuto una ragazza carina e mi mostra una sua foto scattata con la Polaroid che si è portato dietro. Si chiama Alisa, vive a Nuova Delhi ed è venuta anche lei per una vacanza studio. È davvero bellissima: degli occhi sinceri e dolci, gli zigomi arrossati dal freddo mentre sorride all'obbiettivo, i capelli neri, lisci e lucenti, che ricadono sulle spalle e sono coperti sulla nuca da un berretto di lana.

Provo ad immaginare le loro risate insieme, le mani intrecciate mentre camminano su quel ponticello stretto su cui transitano rapide tante biciclette, e il profumo di torte e fiori che proviene dalle finestre delle casette di tutti i colori sullo sfondo.
Una fotografia mi trasmette allegria, se penso al momento che è riuscita a catturare. È bello poter stringere chi vuoi bene, riuscire ad entrare in sintonia con le loro emozioni, come se si fosse un'unica mente.

Elvis mi è mancato tanto, e sono talmente contenta che sia stato bene che l'entusiasmo contagia anche la mia vita povera di contentezza.
Non importa se tra pochi mesi ho la maturità, se a nuoto sto retrocedendo di posti classifica dopo classifica, se con Sophie mi riesce impossibile smettere di litigare, e se, questo è il peggio, con Riley va tutto all'opposto di come dovrebbe andare.
Quando abbraccio le persone che davvero mi amano, tutte le voragini si ridimensionano grazie al loro affetto.


The Unsaid | Wattys2017Where stories live. Discover now