Capitolo XXI

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Hyris, 16 agosto 1997

«Come fai a bere quella roba?» rido portando alle labbra il mio fidato cappuccino.

Virginia, con in bocca un sorso di latte aromatizzato alla liquirizia, gonfia le guance trattenendosi dalla risata.

Faccio un paio delle smorfie alle quali so che non resiste per poi godermi la sua reazione di sputacchiamento nel bicchiere.

La gente si gira a vedere chi stia soffocando, ma lei subito si piega sotto il tavolo con una manciata di fazzoletti in mano. «Vai al diavolo!» bofonchia.

Non riesco a rimanere seria quando la vedo viola in volto, ad esaminare i jeans e la camicetta alla ricerca della più piccola goccia.

Arraffa dalla borsa uno specchietto e la spazzola, per controllare che la treccia non sia in disordine e pettinarne i lati con delicatezza. Poi sguaina il lucidalabbra dal beauty case come se fosse una spada.

«È possibile che non riusciamo a fare bella figura nemmeno in un bar?» mormora sovrappensiero, con l'applicatore a mezz'aria.

«Certo che sì!» le rubo di mano il gloss ricevendo un'occhiata di rimprovero.

La ricatto per andarne a comprare uno uguale per me, così potremo anche farci un giro per i negozi del centro commerciale.

***

Tra le vetrine di grandi firme, splendenti e sofisticate, che pullulano lungo il corridoio, noto in fondo un'insegna a neon rossi e blu, più appariscente delle altre.

Tiro Virginia per la manica e la faccio entrare con me nel negozio.

Immediatamente veniamo investite da una folata di odore di fumo di pipa. Rintanato nell'angolo, il gestore del negozio ci fa un cenno di saluto mentre aspira il tabacco.

Ci muoviamo tra maglioncini ricamati a tinte improbabili, minigonne di velluto attillate e giacche poco eleganti. Anche i capi sono pregni di quel sentore amaro e vanigliato.

Quando passo davanti ad un abito succinto di pizzo, mi viene in mente la perfida idea di farlo provare a Virginia.
Per venia, scelgo anche un vestito più adatto a lei, di un colore acceso che però potrebbe starle bene.

Dopo essere uscita dal camerino con addosso quest'ultimo, Virginia si guarda allo specchio dubbiosa.
Cerco di cancellare l'invidia dal mio volto e di dipingere un sorriso, per farle capire quanto sia bella. Il corpetto è accompagnato da una gonna a ruota frizzante e voluttuosa, una nuance accesa di arancione. Le gambe abbronzate risaltano come se fossero oro, insieme a quel colore.

Perché non sono carina come lei? Vorrei un corpo più femminile. Una vita stretta, le spalle meno larghe. Non servirebbe poi così tanto per farmi stare in pace con me stessa e non rosicare sulle modelle di Vogue.

Mi vede un po'imbronciata, poi dà un'occhiata all'immagine mia e sua riflessa e forse capisce il perché. Lei, longilinea e con una pelle perfetta, vicino a me, con i jeans sformati e il davanti come una tavola da surf.

«Prova questo» consiglia sorridente, ficcando le braccia dentro il camerino e tornandone fuori con una nuvola azzurra.
A prima vista non ne distinguo bene le forme, vedo solo organza.

Accetto l'offerta ma nel contempo le porgo un appendino che sorregge il fantastico vestito succinto a lei destinato.

Le si dipinge subito sul volto un'espressione inorridita, con il labbro superiore in una smorfia e gli occhi sgranati.
Non fa altro se non afferrare meccanicamente il ristretto pezzo di stoffa e chiudersi in camerino con ancora addosso la faccia disgustata.

A guardarlo meglio, il vestito non è poi una massa così indefinita come lo sembrava poco fa. Slaccio i due bottoni dietro e lo infilo dalle gambe.
Traffico con fatica sul collo per riuscire a richiudere le perline.

Mi sistemo il corpetto, che è aderente e scende fino ai fianchi.
Poi, finalmente, mi guardo allo specchio.

E rimango stupita da chi vedo.
Una ragazza stranamente giusta, di un candore surreale, sembra per errore quasi bella.

La gonna scende naturale sulle cosce, le copre con scioltezza. Strati di tulle e seta disposti un po' in disordine, che terminano con dei pizzi di un azzurro più scuro che rilucono d'argento.
Ogni velo parte dal busto e scende fino a sfiorare le ginocchia.

La vita è fasciata da una cintura di seta in tinta pastello, con una trama originale, abbellita da righe orizzontali di tessuto sfrangiato delicatamente.

Tiro indietro i capelli, per osservare meglio la parte superiore. È quella che mi piace di meno, perché mostra che sono troppo magra.
Le spalline sono dello spessore di un filo. Si vedono le scapole, le ossa delle spalle, le braccia fastidiosamente magre.
Ma se sposto di nuovo i capelli sul petto, i difetti vengono nascosti.

«Hyris, fatti vedere!» bisbiglia Virginia spostando un poco la tenda.
Mi faccio coraggio ed esco.
Faccio una piroetta davanti a lei, mentre mi guarda soddisfatta.

«Com'è?» le chiedo lisciando i veli, nervosa.

Si avvicina con gli occhi scuri che rilucono. «Perfetta!» esclama, abbracciandomi delicatamente. Il suo sorriso é radioso, sembra una stella.

« Cammina» ordina facendo un cenno con le dita.

Percorro la passerella immaginaria con scioltezza, un passo dopo l'altro nelle mie comode scarpe da ginnastica che mi danno tranquillità.
Per una volta mi sento carina, non perché me lo dica qualcuno, ma perché penso davvero di esserlo.
Indosserò questo vestito davanti ad una persona che mi sappia apprezzare, che mi ami per chi sono e non per chi fingo di essere.

Nella camminata di ritorno, noto che non ha ancora indossato la minigonna peccatrice. Tenta di sembrare indifferente per far sì che io me ne dimentichi, ma non ci casco.

«Virginia, non ti sei scordata di qualcosa?»

Abbassa lo sguardo. «Io? Che cosa?» bofonchia dandomi le spalle.

«Provalo immediatamente.»

«Solo se lo indossi anche tu!»

Sbuffo per farla sentire un po’in colpa, ma ho già deciso di accettare giusto per amicizia.

Mi prende subito una copia del suo, quindi ci cambiamo per la terza volta.

Di sicuro non è il massimo della comodità: sintetico, prude e la mezza manica, anche se trasparente, fa sudare come in una sauna.

Ma per la figura sullo specchio ne vale la pena.
Siamo una meglio dell'altra. I capelli di virginia cadono, scuri e ondulati, sulla schiena poco coperta dal pizzo nero semitrasparente.

Continua a tirarselo giù sulle cosce, ma io la rimprovero perché deve portarlo con sicurezza.

«Ma dove vado conciata così?» si gira controllando quanto sia fasciato il fondoschiena.

«Ovunque, magari da Sebastien» ammicco.

«No! Mi vergognerei...» farfuglia, ma io so che sta pensando esattamente il contrario.

«Faremo un figurone, insieme» la incoraggio.
Mi dà ascolto: decide per una volta di mollare la moderazione ed essere spontanea.

«Anche davanti ai nostri ragazzi.»
Raddrizza la schiena, squadra la sua immagine come se fosse una sfida.

Intreccio la mia mano alla sua e mi incammino sicura, invitandola a fare lo stesso.

Percorriamo il nostro tappeto rosso più belle che mai.
Decise. Insieme non abbiamo paura, possiamo ottenere quello che vogliamo.

The Unsaid | Wattys2017Where stories live. Discover now