10 Capitolo.

135 9 0
                                    

Mi ricordo la prima volta che abbiamo litigato, i suoi occhi erano un miscuglio di rabbia e tristezza, avrei voluto poterli dire che sarebbe andato tutto bene ma non ci riuscì.
Era la prima volta che qualcuno mi urlava dietro mentre io ero in disparte con la testa china, ma non mi capacitavo del fatto che lui non si fidasse di me, non mi capacitavo del perché si chiedesse come mai non gli raccontassi nulla di me mentre con le mie amiche lo facevo,non mi capacitavo come riuscisse a mettere in dubbio il mio amore per lui.
Se mi avesse conosciuto veramente avrebbe capito che io non mi racconto mai a nessuno, che alla sola idea di parlare di me mi veniva il mal di cuore, perché nessuno avrebbe mai capito come mi sentissi veramente perciò era inutile aprirmi con qualcuno che non avesse vissuto almeno un po' il mio dolore.
Non riuscivo ad aprirmi con lui, perché sostanzialmente avevo paura, paura che se ne andasse perché non in grado di capirmi.
Io tutto quel tempo avevo sempre cercato di salvarlo da me stessa incosciente che così non avrei salvato me, ma non mi importava perché lui era più importante di qualsiasi cosa e al solo pensiero di farlo star male stavo male io.
Tutto era iniziato perché non gli avevo detto che tutte le volte che dovevo uscire con lui dovevo inventarmi una scusa per mia madre, quando il giorno prima ci eravamo ritrovati al bar era arrivata la mia amica di corsa dicendomi che mia mamma l'aveva chiamata per parlarmi in quanto avevo il telefono spento. Ma in quanto non ero con lei e non poteva dirle che ero con Marco le aveva detto che ero già uscita per prendere l'autobus perciò era meglio se tornavo a casa prima per non creare sospetti. Nonostante mia amata avesse capito che c'era un ragazzo, non volevo che capisse che le mentivo, non lo meritava.
La sera non mi rispose ai messaggi e il giorno dopo mi chiese di passare da lui perché doveva assolutamente parlarmi.
Diceva che si era sentito in imbarazzo accanto ai suoi amici perché sembrava che non volessi parlare a mia madre di lui perché mi vergognavo della nostra relazione.
Cosa avrei dovuto dirli? Che ogni volta che uscivo con lui dovevo inventarmi una scusa perché mia mamma non voleva che avessi il moroso prima che finissi la scuola e fosse l'età giusta di avere una relazione giusta dove nessuno prendeva in giro l'altro? Che mia madre non si fidava dei ragazzi, e che non la biasimavo perché nonostante mi fidassi di lui avevo sempre il timore che succedesse qualcosa?
Forse se gli è lo avessi detto non mi sarei ritrovata a litigare con lui, ma non ci riuscivo, non riuscivo a lasciarmi andare completamente, la mia vita era un casino la mia famiglia ancora di più e lui non l'avrebbe capito.
Mio padre se avesse saputo della sua esistenza l'avrebbe ucciso anche se non mi avesse fatto mai del male, nonostante avessi diciott'anni all'epoca per mio padre ero ancora troppo piccola per provare,e forse aveva tutte le ragioni per pensarlo.
Mi guardò piangere, ma non disse nulla,non fece nulla.
Pensavo mi capisse, ma se fosse stato così in questo momento mi avrebbe abbracciata, consolata. Non piangevo mai davanti a nessuno. Non mi guardavo nemmeno allo specchio quando avevo appena pianto perciò mi sentivo fragile e debole.
L'ho amato, più di me stessa e forse fu quello il problema.
La mia esistenza aveva trovato uno scopo da quando era arrivato lui.
Se lui stava male, stavo male pure io.
Quando tornai a casa, mi resi conto che la notte non mi piaceva più, senza di lui il buoi faceva molta paura.
Uno dei motivi per cui preferivo non innamorarmi di nessuno era perché avevo paura di abituarmi alla presenza di qualcuno a tal punto da non sapere più cosa fare senza.

Dear Me. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora