12 Capitolo.

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Da li a poco Marco sarebbe dovuto andare via.
Stava inseguendo il suo sogno. Lui un sogno ce l'aveva, io ne avevo molti e non sapevo da dove iniziare per realizzarli.
Quando giocava, era di una serietà impressionante, sembrava che non ci fosse nulla oltre a lui e al pallone. Amavo vederlo giocare, aveva un forza dentro impressionante.
E nonostante fosse passato un mese in cui non si fece vivo, io continuavo ad aspettarlo perché quando ami per la prima volta ti porti dietro la speranza che tutto si sistemi e dopo ti rialzi e continui a portarti dietro solo l'amore per quella persona che ti accompagnerà nella vita e nelle prossime avventure di cuore che sceglierai di fare.
Non l'avevo più sentito ma non era difficile sapere se gli andava tutto bene, volevo che fosse felice e che riuscisse nel suo sogno.
Perché glielo dovevo, lui mi aveva fatto toccare il cielo con un dito e io dopo averli portato rancore mi ero resa conto che nella fossa mi ci ero immersa da sola.
L'indomani avrebbe giocato la partita che avrebbe determinato in quale squadra di serie B avrebbe giocato nel prossimo campionato, e speravo non si allontanasse molto perché avevo capito che se a Marco toglievi la famiglia toglievi tutte le sue capacità.
Dopo tutti i pianti, dopo tutti le volte che pensando a lui l'ho provato rabbia mi sono ritrovata a essere felice.
Ero felice da far invidia alla coppia più bella, ero felice da far invidia pure a me stessa.
Ero pronta, ero pronta a riprendermi Marco.
Marco era mio, e nonostante tutto volevo provarci un ultima volta, lo dovevo a lui, lo dovevo a me.
Non mi importava cosa avrebbe detto se mi avesse vista, ma io ero determinata ad andare a vedere la sua partita, volevo vederlo vivere un ultima volta.
Avevo capito che Marco viveva per giocare e io vivevo per combattere, ero la guerriera più forte che si fosse mai vista.
Non mi arrendevo mai, non subito per lo meno o mi arrendevo ma dopo tornavo a combattere più decisa e forte di prima.
Quel giorno ero elettrizzata, non vedevo loro di rivederlo, dall'ultima volta al bar non l'avevo più rivisto, avevo cercato di evitarlo il più possibile ignorando il fatto che così ignoravo me stessa.
Mi feci accompagnare dalla mia amica, da una di quelle amiche che nonostante avesse visto il marcio in me era rimasta, era rimasta perché diceva che in me il marcio non l'aveva mai visto e che anzi aveva visto solo una piccola donna cresciuta troppo in fretta.
Era una di quelle amiche che pur di vedere felice avrai scelto di soffrire di più al posto suo.
Le panchine erono scomode,ma ora mi viene il dubbio sul fatto che forse quella che era scomoda ero io, non era il mio posto perché io sarei dovuta essere con lui a ricordarli che qualsiasi cosa fosse successa lui era un combattente e i combattenti ci riprovano sempre finché non arrivano a ciò per cui hanno iniziato a combattere.
Le squadre erano in campo, e lui era bello come sempre, spalle larghe, braccia forti e sorriso smagliante.
Avevo iniziato a credere nel destino quel giorno li, perché Marco tra tutto il campo guardò nella mia direzione, guardo me.
All'inizio sembrava stranito, sapevo che non si sarebbe mai immaginato che venissi,ma poi sorrise.
Sorrise a me e il mio cuore sorrise a lui.
Mentre giocava il mio sguardo era solo su di lui, e ogni volta che si girava mi guardava quasi avesse paura che me ne andassi via.
Ma io ero venuta li per lui e sarei rimasta fino alla fine.
Glielo dovevo, me lo dovevo.
La partita fini in vittoria per la sua squadra, che aveva vinto tre a uno, guardo Marco fece gol si girò e mi fece segno che quel gol era per me.
Mi si era riempito il cuore di gioia, perché nonostante fosse passato un mese da quando non stavamo più insieme sapevamo o per lo meno sapevo e speravo che un giorno saremo tornati più forti di prima.
Quando la partita finì, me ne andai via, non era il momento di parlare, era il suo momento di essere felice con i suoi amici e io ero felice per lui.

Dear Me. Where stories live. Discover now