Mamma

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Pov Gabriel

Ero in macchina da dieci minuti ormai. Lasciai semplicemente che i miei occhi vagassero per quel piccolo giardino che aveva visto gran parte della mia infanzia.
Bastava poco per immaginarmi a giocare a pallone con i miei amici, tutto sporco di terra da capo a piedi e con mia madre ad urlarmi fuori dalla finestra.
Ero a casa, ma le mie gambe non avevano la benché minima intenzione di muoversi.

Pensai a Raphael, e a quella dichiarazione mancata.

C'era mancato così poco!

Chiusi gli occhi abbattuto, inclinando la testa sul sedile della macchina, come assorto da chissà quale problema a chi mi vedeva da fuori.
Non era semplice come pensavo... anzi era dannatamente difficile dichiararsi!
Non mi era mai successo di dover dire a parole quello che provavo.
Puntavo semplicemente su "altro".
Non sapevo nemmeno che parole usare... mi sembravano tutte così superficiali e banali, e poi c'era quel viso, quell'espressione imbarazzata ed invitante allo stesso tempo, e quei occhi verdi brillanti pieni di dolcezza che mi fissavano in attesa.

Come avevo fatto a non vederlo per tutto questo tempo?
Come avevo fatto a non capire che era la parte mancante che da tanto tempo cercavo?

Era certamente più piccolo di me, mancava di esperienza in tante cose, eppure aveva una trasparenza e una forza d'animo da attirare chiunque.
O meglio.
Aveva attirato me.
Io non ero chiunque. È nemmeno lui.
Raphael era diverso.
Incredibilmente timido e introverso in superficie, ma così forte e temerario in profondità.
Doveva solo lasciarsi andare, come era successo in quei mesi in cui eravamo stati in stretto contatto.
Si era lasciato conoscere per ciò che era.
Ed era stupendo.

Presi il volto tra le mani.
Stavo perdendo il controllo e prima o poi sarei scoppiato.
Come non lo sapevo, ma era solo questione di tempo.
In quel momento avrei voluto spaccare a pezzi quella maledetta porta e mettere fuori uso il campanello a forza di calci e pugni.
Se solo Joe avesse scelto un altro momento.
Sospirai pesantemente.
Era inutile prendersela con lui.
La verità era un'altra.
Ci avevo messo troppo tempo è non me lo sarei perdonato.

Ero di pessimo umore, e vedere la mia famiglia in quello stesso giorno era davvero sfiancante.

Ma dovevo farlo...

Con riluttanza scesi dalla macchina, attraversai il giardino infilando le chiavi nella porta di casa.
Dopo diverse chiavate sì aprì, mostrando il lungo ma stretto corridoio color beige, che si divideva in quattro stanze.
Cucina, salotto, un piccolo ripostiglio e il bagno ed infondo le scale che portavano al piano superiore dove c'erano le camere da letto.
Piccola, ma accogliente.

Come al solito, un profumo di vaniglia mi accolse prima ancora di metter piede.
Era quell'odore che ti diceva "Bentornato a casa" o almeno... era questo che mi comunicava ogni qual volta tornavo.
Appesi il giubbotto nel piccolo attaccapanni in legno per poi entrare in salotto, sfregando le mani fra loro nel tentativo di un po' di calore, constatando che dovevano aver appena acceso la stufa.

Non era cambiato assolutamente nulla dall'ultima volta che ero venuto.
Tutto era nella stessa identica posizione, con nemmeno un granello di polvere nei mobili.
Ridacchiai pensando al mio moccioso. Lui è mia mamma si sarebbero trovati estremamente simpatici, entrambi con la passione per la pulizia.
Mi sembrava già di vederli parlottare di quale detersivo usare contro le macchie. Scossi la testa con uno strano calore al petto, comprendendo che lo avrei presentato a lei se solo ne avessu avuto l'occasione.

Un rumore di pentole che si infrangevano al suolo attirò la mia attenzione. Proveniva dalla cucina.

Parli del diavolo... pensai scuotendo la testa.

MedicinaWhere stories live. Discover now