CAPITOLO XX

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Le mani di Damian sono tra i miei capelli mentre, i nostri occhi, sono legati tra loro come se non potessero fare a meno di fondersi.

Le mie labbra, socchiuse, lasciano fuoriuscire un sospiro che viene immediatamente fermato da quelle di Damian, che vi si posano sopra approfondendo il contatto sempre più, lasciando che le nostre lingue si assaporino e le nostre mani scendano sempre più giù.

Quando tocca il mio punto più sensibile, non posso fare a meno di tirare la testa indietro, sprofondandola nel cuscino e serrando gli occhi.

Lui, accorto, mi posa una mano sulla bocca per fermare ogni mio verso e sorride, sostituendola poi con le sue labbra.

Si posiziona tra le mie gambe, lasciandomi capire chiaramente dove vuole arrivare e, senza alcuna barriera tra di noi, mi fa nuovamente suo, lasciando che le migliaia di sensazioni che ho provato questa notte, tornino ad esplorarmi.

Non mi stancherò mai di questo.

«Ragazzi! Per quanto sia felice per questa situazione, dovreste andare a scuola! Io vado al lavoro, a più tardi!» urla, mia madre, da dietro la porta.

Noi, di conseguenza, saltiamo letteralmente in aria, staccandoci a una velocità impensabile e coprendoci con le coperte sparse qua e là, come se mia madre potesse vederci da dietro il legno del battente.

Dopo qualche secondo di silenzio, in cui ascoltiamo i passi di mia madre scendere giù per le scale e la porta principale che si apre e richiude, scoppiamo a ridere come pazzi.

«Gliel'hai detto tu?» domando, ridendo, a Damian, adesso sdraiato accanto a me.

«Io non le ho detto niente! Ma credo l'abbia capito quando ha notato la mia faccia soddisfatta, poco fa, mentre preparavo la colazione.» risponde, sorridendo e regalandomi un occhiolino.

«Cretino.» mormoro, dandogli un pugno sulla spalla.

Poco dopo, Damian, riprende a darmi baci un po' ovunque, solleticandomi ai fianchi con le dita e riposizionandosi dove si trovava poco prima, ovvero tra le mie gambe.

«Dobbiamo andare a scuola...» dico, tra un bacio e un altro, con pochissima convinzione.

«Fanculo la scuola. Tra due settimane ci diplomiamo.» mi risponde, continuando la sua esplorazione.

E, dannazione, ha pienamente ragione.

Ormai gli esami finali sono finiti, potrei benissimo anche non frequentare più se non fosse per i corsi extra che mi regalano qualche punteggio in più per il college.

Sorrido e porto entrambe le mani sul suo viso, tenendolo fermo e osservandolo.

So che dovrei uccidere i miei sentimenti e rinchiuderli in un antro buio del mio cervello, ma non ci riesco.

Quando tutto questo sarà finito, quando Damian si stancherà di me o quando saremo a Los Angeles e si accorgerà che sono solo un ragazzino di una piccola città, il mio cuore non sopravvivrà.

«Posso sentire gli omini nella tua testa lavorare senza sosta.» mi dice, poggiando la fronte sulla mia.

Mi odio per essere così limpido.

«Niente...non ho niente.» dico, cercando di baciarlo ancora, per distrarlo.

Ma lui lo capisce, perché si allontana e mi prende d'assalto con quegli occhi grigi che mi distruggono il cervello.

Mi volto da un'altra parte e sbuffo.

«Oliver.» mi ammonisce.

Ma non ho intenzione di cadere nella sua trappola.

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