11. Oceano mare

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Il mare.
Ah, il mare.
Quant'è bello?
L'immenso, l'infinito, il blu, l'acqua che si confonde con il cielo, l'orizzonte.
Il mare d'inverno, il mare d'estate, in autunno, in primavera.
Il sole che batte caldo sui corpi abbronzati, o che si nasconde dietro alle grigie e cupe nubi davanti ai visi pallidi.
La sabbia sotto le dita, tra le dita, sulle mani e contro la pelle.
I jeans arrotolati alle caviglie, i piedi e l'acqua gelida.
Il silenzio mischiato alle onde che s'infrangono sulla riva, la forza del mare di riprovarci, senza mai stancarsi.
Il rumore, che non è tanto un rumore, ma più una dolce e piacevole melodia, quasi quanto una ninna nanna.
Potrei restare ore a guardarlo, ad ascoltarlo, anche ad occhi chiusi, anche senza il sole, anche sotto la pioggia e sulla sabbia. Non sarebbe mai sbagliato, ma sarebbe sempre assolutamente perfetto.
Quella potenza disarmante e strabiliante.
Non saprei combattere contro il mare.
Mi lascerei uccidere dal mare.
Quasi come a poco a poco mi lasciai uccidere da lui, da Harry.
Harry divenne il mio mare ed io non seppi mai sconfiggerlo.

Quel giorno era un buongiorno.
Cosa stupida forse da dire, ma ero felice. In uno strano modo, felice.
Era come se sentissi ancora la sensazione delle braccia di Harry avvolte al mio corpo, quel tepore, quel suo odore, aleggiare sulla mia pelle. Come fosse indelebile, restava piacevole e profumato su di me.
Mi rigirai tra le lenzuola, sorridendo al ricordo del nostro quasi bacio.
Se solo non fosse arrivata mia madre.
Richiusi gli occhi, dolcemente cullata da quel momento, dal sorriso e dagli occhi verdi di quel perfetto uomo, impressi nella mia mente, mentre mi stiracchiavo.
In realtà, non avevo per niente voglia d'alzarmi e mettere anche solo un dito fuori dalle coperte.
Eppure una voglia malsana di scrivere mi spinse a scacciare via le coperte e a sedermi per incidere mille parole. Scrivere e parlare di lui, di come mi sentivo e della magnifica sensazione di sentirsi quasi al settimo cielo.
Mia madre mi ritrovò china sui fogli, con le dita dolenti e decine di fogli scritti.
"Tesoro, cosa fai?"
Continuai a scrivere, con gli occhi incollati sul foglio. Era come se non fossi lì; mia madre era soltanto una figura lontana e la sua voce distratta.
Dovette richiamarmi più volte prima che io riuscissi a mettere a fuoco le sue parole.
Raccolsi i fogli in modo disordinato, usando poi la pena per legarmi i capelli.
Mia madre alle mie spalle mi guardava curiosa.
"Sto scrivendo il mio libro." Le dissi.
Finalmente lo sapevo, finalmente ero riuscita a capire di cosa dovessi parlare.
Avevo sempre aspettato e temporeggiato per dare il via a quel grande e tanto importante progetto perché non ero mai riuscita a trovare la cosa giusta da raccontare. Per fare un tale passo avevo bisogno di raccontare qualcosa di vero, qualcosa di mio, forse, o che in parte, o in qualche modo, mi appartenesse.
E non c'era niente di più reale di quelle sensazioni, di quelle magnifiche emozioni. Erano assurdamente vere e concrete; Harry, questa volta non era una stupida storia dettata dalla mia fantasia. Harry non era finzione.
"Sul serio?" Domandò mia madre entusiasta.
Annuii, accennando un piccolo sorriso.
"Ho finalmente trovato qualcosa di cui parlare." Sussurrai, timida.
Parlare di ciò che scrivevo non era mai semplice, nemmeno con i miei genitori. Era come se nessuno riuscisse mai a capirmi e di conseguenza tenevo quelle parole per me e per i miei fogli.
"C'entra forse quel ragazzo ch'era in casa nostra ieri sera?"
Rimasi di stucco.
Quell'imbarazzante incontro era un discorso che mia madre non aveva ancora aperto e che, sinceramente, speravo non aprisse mai. Ma mi sorprese l'audacia con cui mia madre riuscì a capire che Harry non era un ragazzo qualunque, non era quello che fino ad allora Erick era stato, ossia l'unico ragazzo ch'io avessi mai portato a casa, come amico ed esclusivamente ciò. Harry era molto di più anche agli occhi di mia madre che soltanto una volta insieme c'aveva visti.
Mi domandai se il mio interesse nei confronti di quel ragazzo fosse così evidente e da sola arrossii.
Non mi piaceva quando gli altri capivano troppo dei miei sentimenti, su questo ero strettamente riservata e timida.
"I-io..." balbettai.
"Mi dici da quando porti ragazzi in casa?" Sorrise.
Sapevo non fosse tanto un rimprovero. Infondo avevo ventun anni, che conoscessi un ragazzo forse mi doveva essere concesso. Ad ogni modo ero consapevole che la mia fortuna stava nel fatto che ad aver visto me ed Harry fosse stata mia madre e non mio padre, ch'era un uomo un po' più severo e di sicuro legato in un modo incredibilmente morboso alla sua unica figlia, che sempre e per sempre bambina avrebbe considerato.
Non seppi rispondere, ma sorrisi soltanto in imbarazzo, alzandomi ed appoggiandomi alla scrivania; il mio sguardo rivolto verso le mie mani.
"Svelami qualcosa almeno."
Ridacchiai.
"Cosa vuoi che ti dica? Non che lo conosca da chissà quanto tempo." Mormorai, "Lavora come pittore ed è un amico del ragazzo di Amanda."
Ogni sensazione con te, la terrò per me; perché tu sei e sempre sarai il dono che più con cura custodirò.
"Ed è un bravo ragazzo?"
"Sì, mamma." Risposi, palesemente.
Lei mi sorrise, sfregando le mani sulle mie spalle, prima di stringermi in un abbraccio privo di motivazioni.
Forse stava solo capendo che finalmente la piccola ragazzina dagli occhi grandi e blu e dal sorriso timido stava finalmente per diventare grande, una donna con la propria carriera e le proprie emozioni.
"Ho sempre creduto che prima o poi saresti finita col stare con Erick."
Aggrottai la fronte a quelle parole.
Ultimamente sembrava essere qualcosa in cui molti credevano. Come se il fatto che io fossi cresciuta con lui dovesse per forza condurci a stare insieme.
Forse io per lui potevo essere ciò che desiderava, ma suo malgrado, lui per me non era mai stato lo stesso.
"Harry non piace ad Erick." Borbottai.
"Perché?"
Ma io mi limitai ad alzare le spalle e a tornare a guardare le mie mani con mille nuovi pensieri che mi frullavano nella mente: Harry il centro di ognuno.

Di Vetro [HS]Where stories live. Discover now