33. Effimera

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Harry's pov.
Effimera.
L'aggettivo perfetto per descrivere la felicità.
Perché è esattamente così che è, è così che va: prima o poi, finisce. Che può durare un'ora, un giorno, un mese, ma arrivà che poi finisce, cessa completamente, senza lasciarne più traccia, se non altro che un amaro ricordo di quant'è stata bella; ma tanto amaro, che avresti preferito non ci fosse mai stata, che la felicità non fosse mai stata tanto effimera, piuttosto avresti preferito inesistente, almeno non ci sarebbe stata l'angoscia da sopportare dopo la sua fine.
Perché è esattamente quando questa finisce che inizia il calvario; quando si è stati troppo felici, poi si diventa troppo incapaci, di sopportare la fine di una qualsiasi forma di felicità.
Ed io, forse, avrei soltanto dovuto godere un po' meno di quella mia gioia, di quel mio stato d'animo così leggero e privo di qualsiasi turbamento; forse avrei soltanto dovuto accantonare un po' del mio amore per Scarlett, dare più spazio alla realtà, ai problemi, che accecato dall'amore non ero più riuscito a vedere. Mi ero accorto troppo tardi di quanto in realtà ci fosse tormento ed angoscia attorno a me, concentrandomi interamente su quella ragazza che amavo e che aveva creato un involucro fatto di scintille intorno alla mia figura, uno scudo, un'illusione di una vita senza alcun difetto.
Non era colpa di Scarlett per essere stata capace di farmi dimenticare per un po' qualsiasi tipo di preoccupazione.
Non era nemmeno colpa mia, perché qual'è quell'uomo che rifiuta quella dose di felicità quando gli viene offerta?
Né tanto meno era colpa dei miei genitori adottivi, i quali io ostinatamente non riuscivo a comprendere, o non volevo comprendere.
Non era colpa di nessuno, ma io davo comunque la colpa a chiunque. Scarlett, i miei genitori, Nick, me stesso. Tutti avevano una colpa per ciò che quella notte accadde. E restavo in silenzio, poi sbraitavo, mi richiudevo in me stesso, in quel muro fatto di carta che prima o poi si brucia e diventa cenere col fuoco che la mia vita sarebbe diventata.

Afferrai Scarlett per la mano, tirandola verso la mia auto, mentre lei sorrideva e si lamentava per i tacchi alti.
"Dai, amore, dobbiamo festeggiare!" Le dissi, continuando a tirarla con le mani.
"Ma io sono stanca." Si lamentò, nascondendo un sorriso.
Si fermò nei suoi passi di colpo, cercando si sfilarsi le scarpe per poter camminare con i piedi nudi e meno stanchi sull'asfalto. Io ne approfittai per guardarla e godermi l'intera sua bellezza, bearmi del suo bellissimo corpo, delle sue forme racchiuse da quel vestito e messe in mostra dalla posizione che aveva assunto piegandosi per slacciare il cinturino dei suoi tacchi.
"Capisci il Signor Walker cosa ha detto? Che ho talento!" Le ricordai, ancora troppo incredulo per frenare quel mio entusiasmo, "Uno dei critici più temuti di Londra, mi ha fatto dei complimenti, cazzo Scarlett!"
Non le diedi altro tempo, afferrandola per i fianchi e facendola volteggiare. Scarlett scoppiò a ridere, stringendo le braccia attorno al mio collo mentre le scarpe le cadevano dalle mani atterrando sul suolo senza che nessuno dei due se ne curasse.
"Te l'avevo detto che sarebbe andata bene."
E dovevo tutto a lei, che m'era stata affianco e m'aveva sostenuto, calmato le mie ansie e stretto la mia mano per l'intera serata.
Quando lasciai che i suoi piedi toccassero terra, le raccolsi il viso tra le mani e senza se e senza ma, la baciai. Spinsi il suo corpo contro il mio e poi tirai avanti, fino a fare scontrare la sua schiena contro la fiancata di un'auto; con una mano accarezzai il tessuto morbido del vestito che ricopriva le sue curve. Ero felice, dannatamente felice.
"Dobbiamo andare a casa, perché io devo toglierti questo vestito e dobbiamo fare l'amore." Mormorai sulla sua bocca, tra un bacio ed un altro.
"L'amore?" Domandò lei, sorridendo.
Premevo senza indugi le nostre labbra insieme, stringendo il suo viso tra le mani per intensificare quel bacio; le nostre lingue s'incontravano e si scontravano, i nostri respiri si mischiavano, così come i nostri sapori, creando il legame migliore di sempre.
"Sì, l'amore. Tutta la notte, piccola, tutta la notte."
Rise, interrompendo completamente quel bacio ed io ringhiai contrariato.
Ero assolutamente serio. Avrei voluto fare con lei l'amore per tutta la notte. L'amore; quello bello, quello che mi faceva impazzire, quello che a lei piaceva tanto, e che a me piaceva da morire, quello che solo insieme eravamo in grado di fare.
Alzò il viso, guardando il cielo, continuando a ridere ed io ne approfittai per baciarla anche sul collo e sul petto scoperto dalla prominente scollatura del suo vestito; quel vestito che in quella sala quel giorno aveva fatto alzare gli occhi di tutti, aveva attirato a lei l'attenzione di chiunque, causandomi la voglia di staccare gli occhi a chi si azzardasse a fissarla o anche solo sfiorarla con lo sguardo, più del dovuto. Fin quando le sue risate non si placarono ed i miei baci non terminarono; allora la trascinai con me fino alla mia auto per poi sfrecciare dritto a casa mia.
Ma fu esattamente quando varcammo la soglia di casa mia, tra un bacio ed un altro, che le cose crollarono.
Avevo bevuto troppo champagne durante la mostra, per cercare di alleggerire un po' il mio umore e questo aveva riempito la mia vescica, costringendomi ad allontanarmi da Scarlett, per correre in bagno. Prima di andare le chiesi di non togliersi quel vestito, perché avrei tanto voluto essere io e soltanto io e farlo scivolare via dal suo corpo. Ero semplicemente felice di poter fare l'amore con la donna che amavo più di ogni altra cosa.
Ma tutta questa felicità si disperse nel vuoto, come se non fosse mai esistita, quando aprii la porta del bagno ed i miei occhi videro ciò che non avrebbero mai voluto vedere.
C'era che tutto intorno a me divenne nero, niente più aveva senso e niente più da quell'istante l'avrebbe avuto.
C'era che il mio cuore si infrangeva, era sempre stato fatto di vetro, che col tempo si era più volte scheggiato; ma quella volta si ruppe, senza più possibilità di rimetterlo in sesto. Che se chiudevo gli occhi, riuscivo a sentire il rumore dei pezzi che si distruggevano.
C'era quel muro attorno me, quello fatto di carta, che lentamente si issava, come a proteggermi dal dolore che inevitabilmente sarebbe arrivato, prima o poi.
C'era la voce di Scarlett, che prima lontana, poi si faceva vicina e mi chiamava, fino a trovarmi. Ma io non avevo alcuna forza di guardarla.
Ed infine c'era Nick, disteso per terra, con gli occhi aperti, ma lo sguardo assente, un pacco di pillole tra le sue mani prive ormai di vita, alcune di questa rovesciate sul pavimento. La sua vita ormai prosciugata dalla morte.

Di Vetro [HS]Where stories live. Discover now