43. Di vetro

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Aprii gli occhi, sbattendo le palpebre cercando di abituarmi alla luce accesa del sole che filtrava attraverso le tende di quella stanza. Era quasi come se anche il cielo quel giorno sentisse meno il peso dei problemi addosso.
Mi ci vollero due buoni minuti per rendermi conto di tutto quello che attorno mi circondava: il silenzio, un corpo caldo avvolto al mio, Harry che respirava lentamente.

Ti guardo dormire, mentre tieni la testa appoggiata sul mio petto e con una mano stringi i tuoi pantaloncini che io sto indossando; amo indossare i tuoi vestiti, amo sentire il tuo odore sulla mia pelle.
Ti guardo dormire, mentre tieni gli occhi chiusi e la fronte aggrottata, perché anche nel sonno i demoni affollano la tua mente e non ti fanno tregua.
Ti guardo dormire, mentre penso e ripenso a quello che è successo, a quello che hai passato. Il tuo cuore a pezzi, il mio distrutto.
Ti guardo dormire e mi chiedo come hai fatto ad arrivare fino a questo punto; mi chiedo ancora com'è stato possibile spezzare il tuo cuore fino a portarti a tanto.
Forse sei di vetro: appari così forte, ma ti distruggi al primo impatto.
Ti guardo dormire, ed un po' mi do la colpa di tutto quello che stai passando. Se solo ti fossi stata più vicina, se solo fossi stata più attenta a cosa ti ferisce, forse tu adesso staresti sorridendo.
Ti guardo dormire e mi prometto che mai più per nulla al mondo tu dovrai provare la sensazione di un cuore che si annienta.

Accarezzai la sua guancia, sentendolo sospirare, ma non si svegliò, continuò a dormire e a stringermi tra le sue braccia.
Ripensai a ciò che era successo il giorno prima; avevamo parlato tutta la notte, mi aveva finalmente confessato il suo stato d'animo, detto che era come se il mondo gli fosse crollato addosso in un istante, dopo la morte di suo fratello; era felice, l'attimo dopo non era più niente. Aveva cercato in qualche modo di spiegarmi le sensazioni che un pizzico di droga riuscisse a trasmettergli. Mi disse che era come se quelle sostanze riuscissero ad alleviare le sue sofferenze, come se gli dessero un po' di tregua e gli riconcedessero di respirare, nonostante il respiro a poco a poco, in realtà, glielo stessero soltanto sottraendo, togliendogli la vita, consumandolo.
Non parlavamo tanto da tempo e non mi aveva mai confessato come realmente si sentisse; mi aveva sempre detto che parlare di tutto quello, che parlare di Nick, era per lui impensabile, troppo doloroso, troppo devastante. Certamente gli era costato un grande sforzo aprirsi tanto con me, quella notte; lo leggevo nei suoi occhi lucidi, ma che avevano ormai da un po' smesso di versare lacrime; lo capivo dai suoi gesti insicuri, dalle sue mani tremanti.
Alla fine, mi confidò che il pensiero di abbandonare tutto e tutti e di andare a farsi, gli stava pizzicando la mente, ma che resisteva soltanto per me e perché io non mi meritavo quello.
Asserì che sapeva sarebbe stato difficile, ma che era disposto a qualsiasi dannazione per me.
E alla base di tutto, disse che non pensava potesse esistere un dolore simile e tanto forte come quello che si prova nel perdere qualcuno di così caro a te, l'ultimo resto della tua famiglia, per cui non poteva perdere anche me. Non sarebbe rimasto più nulla per restare in vita, a quel punto; ammise che, nei momenti di maledetta agonia e solitudine, aveva pensato anche lui al suicidio. L'unica cosa che l'aveva sempre fermato era stato il pensiero che, da qualche parte, io lo stavo aspettando per amarlo.
I brividi ed il terrore avevano avvolto il mio corpo a quelle sue parole; il solo pensiero mi faceva a pezzi.
Lo strinsi tra le mie braccia, gli baciai piano la nuca, a quel ricordo.
Non lo avrei permesso. Mai più gli avrei concesso di pensare ad azioni simili. Lui doveva vivere, lui doveva sorridere ed io avrei anche venduto la mia anima al diavolo pur di riuscire a permettergli una vita felice.
Mi alzai lentamente da quel letto, abbandonando qualsiasi brutto pensiero e dedicandomi soltanto a quel giorno, dove il sole splendeva.
Camminai a piedi scalzi fino alla cucina di casa sua, ma mi arrestai nei miei passi quando incontrai sua madre: era appoggiata al bancone, con in mano una foto ed una tazza di caffè fumante al suo fianco. Alzò il viso, rivolgendomi un debole sorriso quando mi riconobbe.
"Buongiorno, Elisabeth." Mormorai.
"Ciao, tesoro."
Mi dondolai un po' sui miei piedi scalzi e freddi a contatto con il pavimento liscio di quella casa; ero un po' imbarazzata ed a corto di parole, ma fortunatamente fu lei a rompere il ghiaccio.
"Mio figlio dorme ancora?"
Mio figlio, mi sorpresi di quelle parole. Nonostante tutto, Harry era suo figlio. Nonostante le lotte, le liti, i pianti, la consapevolezza che lei non sarebbe mai potuta essere quello che la madre biologica per Harry e Nick era; lei li guardava come si guarda qualcuno che ti è appartenuto dal primo istante, come qualcuno che ti è cresciuto dentro ed è nato da te.
Fu quando abbassò la foto e vidi il volto di Nick impresso su di questa che capii molte cose.
I miei pensieri erano forse stati un po' scorretti, condizionati da quello che aveva sentito. Quella famiglia non era sbagliata, Elisabeth e George non erano sbagliati. Nick era forse stato troppo danneggiato dalla perdita dei suoi genitori per poter capire quanto in realtà quella famiglia adottiva volesse dargli. Elisabeth e George forse non avevano sempre agito nel modo corretto, ma non erano sbagliati.
Quella donna lì, davanti a me, amava Harry e Nick ed era possibile leggerlo attraverso i suoi occhi.
"Sì, dorme ancora." Risposi alla sua precedente domanda.
"Come va tra di voi?"
Avanzai, spostandomi dalla soglia della porta, per sedermi s'uno sgabello di fronte a lei, che nel frattempo conservò la piccola foto nella tasca dei suoi pantaloni e prese tra le mani la sua tazza di caffè.
"Va tutto bene."
Seguirono attimo di silenzio dove lei mi guardò ed infine mi sorrise.
"Scarlett, sono felice che Harry abbia te. Io non sono mai stata brava a dimostrargli quanto ci tengo a lui e nemmeno George c'è riuscito" mormorò , "ma tu riesci a renderlo davvero felice ed io lo sono altrettanto se lui lo è." concluse.
Il cuore mi tremò a quelle parole ed un forte senso di angoscia mi avvolse, senza che riuscissi a spiegarmene la ragione. Era forse tutta quella emotività in quella stanza.
"Harry vuole smettere."
I suoi occhi si illuminarono, di gioia e di lacrime.
"Davvero?"
Le sorrisi, annuendo, "Me ne parlava ieri sera, ha detto di volercela fare."
Si avvicinò a me velocemente, dopo aver posato la sua tazza di caffè, per avvolgermi in un abbraccio caldo e carico di gratitudine, mentre dai suoi occhi alcune lacrime sfuggivano. Le sorrisi, ricambiando goffamente quell'abbraccio, ma mettendocela tutta per farle capire che Harry avrebbe superato ogni cosa. Era una promessa silenziosa.
Il nostro abbraccio fu interrotto dall'arrivo di qualcuno in cucina: Harry. Elisabeth si allontanò da me, sotto lo sguardo curioso e confuso di suo figlio, scusandosi prima di raccogliere le sue cose ed annunciare ad entrambi che sarebbe uscita per delle commissioni; si fermò dinanzi al figlio prima di uscire, sorridendogli teneramente ed accarezzandogli il volto con tanta delicatezza, come per paura di poter rompere qualcosa di estremamente fragile; Harry era estremamente fragile.
Questo non disse o fece nulla, restò semplicemente immobile fin quando non udimmo il rumore della porta di casa che veniva chiusa ed io e lui restavamo soli in quel silenzio.
Mi alzai dallo sgabello ed un po' incerta mi avvicinai a lui, che mi guardava pensieroso; non riuscivo a capire cosa gli stesse passando per la mente. Appoggiai il palmo della mia mano sulla sua guancia, accarezzando amabilmente la sua pelle ricoperta da un po' di barba, ma comunque gradevole al tatto. Legò le braccia attorno alla mia vita e mi guardò come solo lui era in grado di fare.
Rabbrividii perché era da tempo che non mi guardava in quel modo.
"Tua madre è dolce."
Annuì, ma non mi disse nulla, si limitò soltanto a sprofondare il viso nell'incavo del mio collo e a sospirare.
"Non mi lasciare da solo" mormorò, con la bocca premuta sul mio collo.
"Volevo prepararti la colazione, ma-"
Mi baciò sulle labbra, tacendo qualsiasi mio tentativo di spiegare.
"Okay, va bene. Solo, non mi piace più stare solo."
Allora annuii, promettendogli che non sarebbe più successo; immaginavo le sue ragioni anche se lui scelse di non spiegarmele apertamente.
Ci allontanammo dal tepore di quell'abbraccio ed io l'afferrai per la mano, facendolo sedere. Gli preparai la colazione con due fette di pane tostato, un po' di marmellata ed un piatto di uova strapazzate, sotto il suo sguardo attento ed adulatore. Mi porse una mando dopo che io appoggiai il piatto davanti a lui, facendo cenno con il capo di avvicinarmi. Mi fece accomodare sulle sue gambe, spostandomi i capelli dietro le spalle per poter lasciare un bacio sul mio collo.
"Non ho molta fame." Mormorò, con la bocca premuta ancora sulla mia pelle.
Sospirai, scuotendo la testa.
"Devi mandare giù qualcosa, Harry."
Presi dal piatto una delle fette di pane tostato, porgendogliela ed accennandogli un sorriso d'incoraggiamento. Tentennante le diede un morso ed io gli sorrisi, contenta.
Sapevo che la ragione del suo stomaco chiuso era la sua breve astinenza a quelle maledette sostanze, più volte Alfredo ed altri del Mondo Amico mi avevano detto che tutte quelle droghe ti tolgono persino l'appetito e l'unica cosa di cui hai fame sono proprio quelle.
Presi tra le dita l'altra fetta di pane, addentandone un morso e leccandomi le labbra quando un eccesso di marmellata scivolò su di quelle.
I miei occhi si spostarono ancora su Harry, che fissava un punto davanti a sé, silenzioso, mentre masticava malvolentieri la sua fetta di pane. Ogni volta che lo guardavo perdersi nel nulla e pensare a chissà cosa, mi si incupiva il cuore. Evidentemente qualcosa non andava ed io odiavo non riuscire a rimediare, ma ce la mettevo sempre tutta ad alleviare almeno un po' i suoi tormentosi pensieri.
Mandò giù l'ultimo boccone della sua fetta di pane, allungandosi per prendere un tovagliolo dal tavolo e pulirsi le dita impasticciate, ma io afferrai la sua mano, portando il suo pollice tra le mie labbra. Mi guardò curioso e con gli occhi penetranti, che mi scavavano persino l'anima e mi chiudevano lo stomaco. L'atmosfera era più intensa, più calda ed io allontanai la sua mano dalla mia bocca, cercando in ogni modo di mantenere i miei occhi puntati nei suoi. Ma reggere uno sguardo tanto carico di emozioni e sensazioni era così difficile, tanto da portarmi a spostare il mio sulle sue labbra.
Con una mano accarezzai il suo viso, per poi passarla tra i suoi capelli e godere della piacevole sensazione che si provava nell'accarezzare i suoi ricci adesso ridotti in un ciuffo ribelle. Mi chinai a lasciare un bacio sulla sua bocca, per poi riprendere ad accarezzarlo, ma questa volta con entrambe le mani. Lo facevo perché riuscivo a vederlo rilassarsi sotto quelle carezze; le sue mani che al tempo stesso disegnavano dei segni astratti sulla base della mia schiena, mi dimostravano quanto quelle mie azioni lo calmassero.
Baciai ancora una volta la sua bocca ed incapace di resistere prolungai quel contatto.
"Continua a baciarmi." Mormorò sulle mie labbra.
Annuii, accontentandolo più che felice di farlo.
Continuo a baciarti, continuo a vivere per te.
Respirai a pieni polmoni in quel contatto labbra contro labbra, devastante e sconvolgente.
Mi abbracciò, sospirando. Immaginavo i continui pensieri che affollavano la sua mente, immaginavo la paura ed il timore di non riuscire a farcela, di deludere. Ricambiai quella stretta, come a fargli capire che io avevo più paura di lui, ma in due quella paura potevamo sconfiggerla.

Di Vetro [HS]Where stories live. Discover now