48. Tutta la vita

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Non era che io non volessi avere un figlio, avevo sempre voluto averne uno. Ma quella notizia mi stava comunque facendo impazzire. Non era il momento giusto. Pensavo soltanto a come avrei potuto crescere un bambino quando di pensieri ne avevo così tanti in quell'ultimo periodo. Per non parlare di Harry; ero terrorizzata da una sua possibile reazione negativa. Poi c'erano anche i miei genitori; come avrei detto loro che l'unica figlia che avevano, oltre a scegliere di amare un uomo che loro non avrebbero mai  accettato, era anche incinta?
Non erano mai stati questi i piani per il mio futuro.
I miei genitori avrebbero voluto una figlia laureata, con tanto successo e poi un buon marito e dei figli a tempo debito. Io, invece, mi sentivo come se giorno dopo giorno, in qualche modo, li avessi delusi e continuassi a farlo. L'avevo fatto per amore, comunque, e di questo non mi pentivo.
Era passata più di una settimana e di accertamenti ne avevo fatti più che a volontà. Ero incinta al cento per cento. Qualcosa dentro di me stava crescendo, una vita, un bambino, qualcuno a cui donare il mio amore, qualcuno da custodire e da proteggere dal male.
Non mi sentivo pronta per tutto questo, ma comunque avrei portato avanti quella gravidanza, perché non c'era verso, modo, o ragione, che mi facesse scegliere il contrario. Non ero mai stata favorevole all'aborto, in nessun caso.
Ad ogni modo, l'unica che sapeva di quella gravidanza era momentaneamente Amanda. Avevo scelto di dirlo a lei perché sapevo che, fra tutti, era quella che sicuramente mi avrebbe meglio capita, lei c'era già passata, sapeva come comportarsi, cosa si provava. Era stata infatti proprio lei ad accompagnarmi dal ginecologo per la visita; ricordo ancora gli occhi di tutti puntati addosso ad entrambe e la vaga sensazione di disagio che provai in quel luogo pieno di giovani coppie e non. Tutte le donne, lì dentro, avevano un compagno, qualcuno che stringeva loro la mano, qualcuno che le guardava, o che guardava il loro pancione, come se non potessero essere più grati di così. Mi domandai, guardando tutte quelle persone, quella mattina, se anche io avrei avuto Harry al mio fianco in quel modo; non nego che mi sarebbe piaciuto.
Da quella visita erano passati due giorni. Harry spesso mi chiedeva se qualcosa non andava, soprattutto nei giorni in cui mi vedeva con l'umore completamente andato, e si preoccupava in quei momenti in cui mi ritrovava piegata sulla tazza del water a rigettare ogni cosa ingerita. Ed io dovevo trovare sempre una giusta spiegazione per persuaderlo e fargli credere che tutto andasse bene, ma sapevo che avesse intuito che qualcosa non andava. Infondo, non ci voleva chissà quale grande genio per capirlo e lui, che dei miei sorrisi diceva sempre di farne oro, evidentemente quando questi inevitabilmente sparivano, qualcosa avrebbe dovuto capirla.
E spesso insisteva, certe volte si innervosiva quando con superficialità gli dicevo che non era successo niente, ma poi lasciava passare perché non voleva più perdere le staffe. Nei suoi giorni di crisi aveva già troppe volte perso il controllo.
E nonostante io cercassi e riprovassi in continuazione davanti allo specchio come una stupida, le giuste parole o il corretto modo per dire ad Harry di quella gravidanza, c'era sempre qualcosa che non andava. Ma la verità era che nessun discorso, nessun gesto, sarebbe stato perfetto; dovevo soltanto dirglielo, e poi basta, accettare qualunque sarebbe stata la sua decisione. Non lo avrei mai obbligato a prendersi le sue responsabilità per quel bambino, lo amavo troppo per vincolarlo tanto, nonostante fossi consapevole che un suo ipotetico rifiuto mi avrebbe distrutta. Obbligarlo, o lottare per convincerlo, ad ogni modo, non sarebbe servito a nulla.
Il giorno in cui però Harry venne a conoscenza di quella gravidanza, non ci furono bisogno di parlare o qualsiasi altro teatrino. Harry lo scoprì e basta.
Era ora di cena, eravamo appena tornati dal Mondo Amico ed entrambi non vedevamo l'ora di poter mettere sotto i denti qualcosa. Si offrì lui, quella sera, di preparare qualcosa di semplice e leggero per la cena, visto che io, ancora una volta, avevo passato l'intero pomeriggio a fare avanti ed indietro dal bagno a causa della nausea. Avevo in continuazione fame ed in continuazione poi la nausea si ripresentava.
Lasciai la borsa sul tavolo in cucina, chiedendo ad Harry un minuto per cambiarmi.
Accadde mentre io non c'ero, che Harry aprì la mia borsa perché il mio cellulare non smetteva di suonare e trovò la mia cartella clinica, con tanto di notizia riguardo la mia gravidanza all'interno.
La sua espressione sconvolta quando rientrai in cucina, non faceva parte delle cose che si dimenticano facilmente.
Il momento che tanto avevo rimandato era arrivato senza preavviso.
"Che cosa significa?" Mi domandò.
La sua fronte era aggrottata, le labbra socchiuse, tra le mani un foglio e la cartella, le braccia aperte quasi ad ingrandire la gravità di quella notizia.
Deglutii, non rispondendo.
Regnò per minuti che sembrarono un eternità il silenzio più totale. Avevo sempre adorato restare in silenzio con lui, ma in quel momento il silenzio era l'unica cosa che non desideravo.
"Scarlett, che cosa significa?!" Ripeté, alzando il tono della voce.
Mi passai una mano tra i capelli, respirando a fondo.
"I-io..." balbettai, ma non dissi null'altro.
Era come se non riuscissi a trovarne la forza. Tutte quelle parole ripetute davanti allo specchio furono soltanto parole buttate al vento.
Guardò ancora una volta quei fogli, scorrendo con gli occhi sulle righe, cercando forse una bugia, una menzogna, che però non avrebbe mai trovato.
Quella era la verità, scritta nero su bianco.
Quando riportò gli occhi su di me, mi si contorse lo stomaco. Mi stava pregando con lo sguardo di mentirgli almeno, perché neanche lui era pronto a tutto quello. Ma io non potevo dirgli ciò che non era.
"Sono incinta." Confermai allora, in un sussurro che però arrivò forte e chiaro ad entrambi.
Allora non c'erano più vie di fuga, la verità era stata rivelata.
Calò il silenzio. Lui tacque ed io tremavo dalla paura. Non volevo perderlo, non volevo lasciarlo andare, non volevo e non potevo più vivere senza di lui.
Fino a quel momento avevo soltanto sentito dottori ed infermieri, Amanda, dirmi che ero incinta; io mi ero limitata a pensarlo. Ma dirlo, era tutta un'altra cosa. Era come se pensarlo soltanto agevolasse un po' l'incertezza di star vivendo un sogno, o forse un incubo. Sentirlo pronunciare dalla mia bocca stessa, era invece come realizzare effettivamente, anche sulla mia stessa pelle, che tutto quello non era finzione, non lo era mai stato.
"S-sei incinta." Balbettò.
Deglutii, sentendo gli occhi pizzicarmi e le lacrime appannarmi irrimediabilmente la vista. C'era che forse piangere mi avrebbe aiutato, ma la paura di non essere consolata, non da lui, arrestava il mio respiro e mi tratteneva dal crollare.
Rimase in silenzio dopo quelle parole, a fissare davanti a se, ma senza mai guardare me, a pensare, senza neanche fiatare. Tutto quel silenzio era terribile, perché ormai da un pezzo avevo perso la capacità di riuscire a capire anche quelle parole che lui non pronunciava e per cui non sentirgli dire nulla era come vivere nel nulla. Volevo sapere cosa provava, quello che pensava. Esigevo saperlo.
"Dì qualcosa, ti prego." Dissi, con voce incrinata.
Anche solo una parola, ti prego.
I fogli e la cartella che aveva tra le mani furono lanciati sul tavolo davanti a lui.
"Com'è possibile? Che cazzo abbiamo combinato?!"
Si mosse dal suo posto, coprendo la distanza che ci separava con grandi falcate. Io rimasi immobile, nonostante la sua espressione mi spaventasse; era la stessa di quando perdeva le staffe.
Eppure mi sorprese: sgranò gli occhi quando capì che m'ero irrigidita, è solo dopo pochi secondi, scappò via, senza dire più nulla.
Sentii una porta sbattere e dopo un po', nel silenzio di quella nostra piccola casa, riecheggiò anche un tonfo forte, che riconobbi come un pugno scaraventato contro il legno di una porta.
Harry era scappato e si era rinchiuso, io ero rimasta in piedi, nel silenzio e da sola.
Strinsi gli occhi e trattenni il respiro.
Non piansi.

Di Vetro [HS]Where stories live. Discover now