46. Cuore umano

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Le nostre dita erano gelate e le nostre tasche un po' troppo strette per poter contenere le nostre mali legate. Non c'era verso che Harry abbandonasse quella presa e non esisteva al mondo che lo facessi io.
Aspettavamo così allora, legati, vicini, uno il calore dell'altro, mentre qualcuno veniva ad aprirci al Mondo Amico.
Sorrisi ad Harry, sfregando una mano sul suo braccio e lui ricambiò quel sorriso, prima di chinarsi per baciare la punta del mio naso, accarezzando con l'altra mano il mio viso.
Amavo quella tranquillità che si era stabilita; finalmente stavamo riavendo quella nostra armonia che a causa di diversi avvenimenti sembravamo aver perso. I baci, i sorrisi, le coccole e niente più all'infuori di questo. Harry non aveva crisi da due settimane ormai e certo, ne avevamo passato molto altro di tempo in più a combatterle quelle crisi, ma non importava più se finalmente potevamo abbracciarci senza aver paura di disintegrarci.
Mentre ci guardavamo negli occhi, Alfredo venne ad aprirci, accogliendoci con un immenso saluto e stringendo entrambi in un caldo abbraccio. Mi lasciai così avvolgere dal tempore che quelle mura emanavano; avevo sempre amato quel posto, per quanto potesse sembrare assurdo, ed ero realmente felice di poterci tornare. Mi accolse anche Renée, che mi sorrise e mi abbracciò tanto forte, abbracciando poi anche Harry. In tutto questo, le nostre mani mai si slegarono.
Mi avvicinò a se quando tutti, dopo averci salutati, ci concessero un po' di tregua.
"Fuori si muore dal freddo. Qui, invece, si sta bene." Mormorò, con le labbra premute sulla mia tempia.
Accarezzai il suo petto con la mano, nascondendola sotto il suo cappotto nero, mentre lui invece slegava le nostre dita, ma soltanto per poter portare le braccia attorno alla mia schiena e spingermi contro di lui. Lo baciai sul mento e lui ricambiò con un bacio sulla punta del mio naso. A quel punto mi accorsi che un po' tutti là dentro ci stavano guardando e allora cercai di nascondere l'imbarazzo, messo in evidenza dal rossore sulle mie guance, appoggiando il viso sul petto di Harry e sorridendo mentre lui invece rideva leggermente capendo il motivo di quel mio nascondiglio.
"Scusami amore, ma devo davvero andare in bagno." Mormorò al mio orecchio, ridacchiando.
Risi anch'io, lasciandolo andare. Lo guardai sfilarsi il cappotto, lasciandolo sull'attaccapanni vicino la porta prima di uscire da quella stanza. Mi avvicinai a Renée, che mi guardava con un'espressione affettuosa e materna sul volto. Le sorrisi perché sapevo la ragione di quel suo modo di guardarmi: Harry stava evidentemente bene ed io stavo tanto bene quanto lui; non potevo esserne più felice.
"Sei contenta?" Mi chiese, prendendomi sottobraccio.
"Molto. Lui sta meglio." Le risposi seriamente contenta.
Annuì alla mia risposta, accarezzandomi il viso con una mano. Le sue mani erano sempre state callose e secche, ma così delicate nell'accarezzarmi e nel cullarmi. Mi ricordavano tanto i giorni in cui da bambina io piangevo e lei con quelle mani raccoglieva le mie lacrime e mi trasmetteva il coraggio per smettere di piangere. Amavo davvero Renée, come se fosse una seconda madre.
"Ti rende davvero tanto felice Harry, non è così?"
"Diamine, sì." Sorrisi.
Quello era uno di quei giorni in cui avrei niente avrebbe potuto annientare la mia felicità. Ormai i problemi mi sembravano lontani. Sapevo che il calvario non si era ancora concluso, che ce ne voleva ancora di tempo prima che Harry potesse rimettersi del tutto, ma in quella giornata ero sempre molto più fiduciosa di lui e nel suo percorso di guarigione.
"Abbiamo una sorpresa per lui, in occasione del suo ritorno." Annunciò Alfredo, alle mie spalle.
Mi affiancò, sorridendo.
"Che genere di sorpresa?"
Ma non fece in tempo a rispondere che Harry entrò in quella stanza, con gli occhi puntati su di noi ed un sorriso smagliante in viso.
Lo guardai. Aveva perso durante quel periodo un po' di peso ed i suoi muscoli erano decisamente meno tonici e robusti, adesso il suo corpo era più che altro slanciato e scavato, così come il suo viso. Eppure, restava comunque ed indubbiamente il ragazzo più bello che avessi mai visto.
"Che mi sono perso?" Chiese, porgendomi una mano.
Contenta, strinsi le nostre dita insieme e a rispondere al posto mio fu Alfredo.
"Andiamo di là, lo vedrai tu stesso."
Harry mi guardò confuso ed io scossi semplicemente le spalle, per fargli capire che io ne sapevo tanto quanto lui.
Entrammo nella grande sala dove erano soliti svolgersi i nostri incontri, ma questa volta la stanza non era sistemata con un cerchio di sedie al centro. Questa volta vi erano diverse tele poste ordinatamente sui rispettivi treppiedi, uno sgabello dinanzi a ciascuna di queste ed un tavolo, infondo alla sala, pieno zeppo di tavolozze, pennelli, colori di ogni genere e matite di ogni tipo.
"Sappiamo che sei un ottimo pittore, Harry." Lo incoraggiò Alfredo con una pacca amichevole sulla spalla.
Ma Harry era rimasto ghiacciato a fissare ciò che aveva davanti. Non si muoveva, né tantomeno diceva qualcosa ed io sapevo bene che questo non era un così buon segno.
Lui non dipingeva da quando era morto il fratello e non mi aveva mai detto il motivo e mai effettivamente io gliel'avevo chiesto. Non mi ero mai domandata perché realmente avesse smesso; lui aveva semplicemente distrutto gran parte delle opere nel suo studio, buttato giù tutto, chiuso le porte di quel posto e non mettendoci più piede.
Strinsi la sua mano per attirare la sua attenzione su di me ed allora mi guardò e con gli occhi mi supplicò di aiutarlo.
Tossii, guardandomi attorno con gli occhi di tutti puntati addosso, a noi e a nostri sguardi.
"Scusateci un attimo." Dissi.
Lo trascinai fuori da quella sala, mentre lui mi seguiva senza ribadire. Quando fummo lontani sospirò profondamente, restando fermo a fissare davanti a se, mentre io lo guardavo con la fronte corrugata ed anche un po' preoccupata. Si era stabilità un'armonia ch'ero terrorizzata di perdere, ancora.
"Cosa succede, Harry?" Gli chiesi.
Poggiai il palmo della mia mano sulla sua guancia, accarezzandolo teneramente. Incastrai i nostri occhi, cercando delle risposte che lui ritardava a dare.
"Non vuoi dipingere?"
"Ho paura." Confessò in un sussurro.
Con le mani continuai ad accarezzare il suo volto, passando anche più volte le dita tra i suoi capelli che quel giorno erano arricciati in un ciuffo scomposto. Era bello poter vedere che i suoi ricci erano comunque lì, setosi e piacevoli sotto le dita.
"Di cosa?"
Lo costrinsi ad abbassare il capo, per avvicinare le nostre labbra e lasciarle toccare, per guardarlo dritto negli occhi e non lasciargli via di scampo. Le nostri fronti premute, i nostri respiri che di mischiavano. Ed io che sapevo di lui, lui che sapeva di me; la nostra essenza insieme nella più bella delle combinazioni.
"L'arte per me era tutto. Significava sentirmi bene, stare bene." Spiegò.
Cercò, nel frattempo, con le mani i miei fianchi, stringendoli sotto lo spesso tessuto del mio maglione.
"Ho paura di non riuscire più a sentirmi in quel modo quando dipingo. Significherebbe perdere tutto," la sua voce si incrinò e deglutì prima di riuscire a parlare ancora, "Significherebbe perdere una parte di me stesso, completamente. Ed ho già perso abbastanza."
"Lo so, amore."
Lo tirai più verso di me, facendo sì che si abbassasse per poterlo abbracciare, con le mie braccia avvolte attorno al suo collo e le mie labbra che si arricciavano per poter riempire il suo collo di baci. Non pianse, ma dai suoi gesti e dalle sue mani tremanti capii che Harry poteva anche stare meglio ma restava comunque estremamente fragile.
"Non te la senti?"
Alzò il viso dal mio collo, pensandoci su prima di sospirare.
"I-io voglio provare, ma tu resti accanto a me? Per favore." Sussurrò.
"Certo, Harry. Non devi neanche chiederle cose simili."
Lui mi sorrise e nonostante quel piccolo e tirato sorriso nascondesse numerose incertezze e paure, sembrava comunque realmente grato. La verità era che lo sapevo: Harry senza di me non sembrava riuscire più a stare. Me lo disse anche, una volta: "sono un'anima persa senza di te. Non so come farei."
E infondo non importava se io per questa stessa ragione avessi accantonato parte della mia vita, perché era vero che da quando Harry stava così io non avevo fatto altro che dedicare ogni istante della mia esistenza a lui; non importava ed era okay fino a quando lui stava bene.
Lui viveva per me, io vivevo per lui.
A quel punto rientrammo in quella grande stanza dove tutti ci aspettavano e quel leggero chiacchiericcio si annullò quando mettemmo piede lì dentro; tutti ci guardarono, Harry imbarazzato si nascose dietro di me, cercando un appiglio nelle mie mani, le quali strinsero istantaneamente le sue.
Mi scusai ancora e dopo infiniti attimi di imbarazzante silenzio Alfredo scosse la situazione chiedendo a tutti di rimettersi davanti le proprie tele per iniziare.
"Scarlett, hai anche tu una tua tela." Mi disse.
Harry mi guardò. Gli avevo promesso che gli sarei stato vicino.
"Grazie, ma per ora preferisco restare accanto ad Harry." Risposi, regalando un sorriso al mio ragazzo.
Nessuno ribadì qualcosa al riguardo. Tutti lì dentro sapevano quanto Harry fosse suscettibile e debole, tutti capivano se io gli restavo sempre e comunque accanto. Nessuno lì aveva mai visto Harry senza vedere anche me.
Le nostre vite, la mia e la sua, da un po' di tempo a quella parte si erano unite ed erano diventate una cosa sola.
Quando Harry si sedette sullo sgabello davanti la tela le sue mani tremavano. Lo abbracciai da dietro, con il mento appoggiato sulla sua spalla, proprio come era mio solito fare tutte quelle volte in cui in passato l'avevo guardato dipingere perché era il suo lavoro e perché amava farlo.
Sulla tavolozza in legno versò un po' di tempera rossa, poi strinse tra le dita il pennello ed intinse le setole, inumidite dall'acqua, nel colore; tentennò attimi e chiuse gli occhi prima di appoggiare il pennello sulla tela e tracciare una linea decisa, sporcando il bianco candido della tela di un rosso sangue.
Il suo cuore batté più forte sotto i palmi delle mie mani premute sul suo petto.

Di Vetro [HS]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora