40. Terrificante inferno

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Non saremo mai capaci, non è vero?
Non sapremo mai farci del bene.

La testa mi scoppiava, tutto intorno mi girava. Erano giorni che non mangiavo per bene, ma tutto quello che era successo con Harry mi aveva chiuso lo stomaco; tutti i nostri continui litigi, che aumentavano soltanto, senza sosta, mi tormentavano, così come mi tormentava la paura di perderlo. Paura che si fondeva insieme alla consapevolezza che di questo passo sarebbe davvero accaduto. Harry continuava a fuggire da me, a nascondersi negli angoli più bui di quel bar, ad incontrare Jasper a mia insaputa, a farsi di quelle fottute sostanze di nascosto e lontano da occhi indiscreti, ma soprattutto lontano da me. Non riuscivo più a trovare una soluzione. In realtà, non credevo esistesse.
In fondo, come si fa a salvare qualcuno che non vuole essere salvato?
E quel giorno sentivo che il vuoto stava diventando troppo grande, quasi insopportabile.
Mi guardai allo specchio, domandandomi chi fosse quella ragazza che rifletteva il vetro, perché quella non sembravo più io. Capivo soltanto guardandomi allo specchio perché lo sguardo dei miei genitori in quelle ultime settimane era così cambiato. Di certo non era bello guardare la propria figlia consumarsi dietro qualcuno che del verbo vivere aveva dimenticato il significato. Loro non mi guardavano più, loro non mi aspettavano più.
Erick era sparito, quella volta probabilmente troppo offeso dalla mia scelta. Perché nessuno riusciva a capire l'amore che mi legava ad Harry, ma tutti lo consideravano soltanto uno sporco drogato. Eppure io vivevo per lui.
Amanda era troppo occupata a cercare di non pensare alla perdita di un figlio che irrimediabilmente aveva frammentato la sua vita, per considerare anche solo un po' la mia.
Mi sentivo sola.
Ero sola.
Raccolsi i miei capelli in una coda, ma li sciolsi il secondo dopo; il mio viso portava i segni di notti intere insonni, scoprirlo tanto forse non era un'ottima scelta.
Spensi la luce del bagno, chiusi la cerniera della felpa che indossavo fino al collo, il freddo tra le mani. Il cielo, fuori, era nero e nemmeno una stella riusciva a brillare; la luna, talvolta nascosta dalle nubi, sembrava quasi fissare il mondo, giudicare, quella notte senza confortare ogni cuore affranto.
Quella non era la notte degli innamorati e la luna indossava il suo volto più buio.
Tirai su col naso e scesi le scale, ma rimasi immobile quando incontrai gli occhi di mio padre. Non c'era comprensione, ma soltanto delusione.
Scelsi di proseguire dritto ed uscire, quella casa stava diventando troppo soffocante per il mio petto che si stringeva e a stento ormai riusciva a respirare.
Non c'era un posto dove realmente volessi andare, o forse c'era, ma era la paura di non trovarlo che mi frenava dal raggiungerlo: Harry, era lui il mio posto.
Eppure, questa volta, le distanze le avevo prese io. Tutto quel litigare, in quelle ultime settimane, mi aveva consumata; la solitudine sembrava essere l'unico rimedio.
Salii in auto, appoggiandomi al volante e fissando dinanzi a me, quasi come se stessi cercando qualcosa che lì, in quel vuoto, non avrei mai trovato. Risposte, sollievo, amore.
Soltanto dopo attimi di totale silenzio riuscii a tirare un grande respiro e mettere in moto l'auto. Dovevo provarci però, dovevo almeno tentarci a trovarlo il mio posto, e un'idea forse ce l'avevo. D'altronde la solitudine aveva soltanto accresciuto la necessità di tenere Harry al mio fianco.
Conoscevo bene e male il locale dove andai quella notte. Bene perché era il posto dove Harry fuggiva e che io mai avrei potuto dimenticare; male perché d'altronde quello non era di certo un luogo adatto a me, tanto meno a chiunque altro. Quel posto era soltanto l'inferno sulla Terra.
Mi feriva il pensiero che Harry fosse uno dei peccatori caduto in quel vortice di fiamme alimentate dalla droga.
La gente fumava, altra ballava vergognosamente vicina, altra ancora se ne stava a bere, seduta sui divani, o incollati al bancone del bar, un bicchiere dopo l'altro.
La puzza all'interno di quel posto mi fece venire il voltastomaco e ci mancava davvero poco prima che vomitassi.
Ad ogni modo, cercai tra la gente quegli occhi e quel volto che tanto amavo, ma fu davvero difficile riuscire a trovarlo. Ma poi, tra un gruppo di persone ferme davanti ad un tavolo e con bicchieri colmi di chissà quale sorta di alcol, in mano, lo vidi. I suoi capelli erano disordinatamente tirati indietro, le sue spalle coperte da una felpa verde ed un paio di jeans consumati a fasciargli le gambe lunghe e magre.
Tra le dita di una mano teneva una bottiglia di birra quasi vuota, mentre con l'altra stringeva una sigaretta accesa e quasi consumata. Lo guardai per un po', da lontano. Lui continuava a parlare con un uomo che non conoscevo, ma che dall'aspetto non sembrava affatto una brava persone; lo sapevo che non bisogna mai giudicare qualcuno in base a ciò che mostra, come appare, ma in quel posto e col senno di poi, non giudicarlo in base alle sue apparenze era impossibile. Eppure, rabbrividii quando mi accorsi che il suo aspetto era tanto simile a quello di Harry. Tatuaggi, sigarette ed alcol tra le mani.
Mi avvicinai, facendomi spazio tra la gente, mentre Harry si portava la sigaretta alle labbra e scavava le guance, aspirando la nicotina; si guardò attorno ed entrambe le nostre azioni si arrestarono quando i nostri occhi si incontrarono. Il sangue mi gelò nelle vene e guardandolo negli occhi mi sentii in soggezione, la sensazione che non sarei dovuta essere in quel posto fin troppo chiara.
Diede prepotentemente la bottiglia di birra all'uomo al suo fianco, prima di lasciar cadere la sigaretta per terra, incurante del fatto che si trovasse all'interno di un locale. Camminò velocemente verso di me, fino a ritrovarsi a pochi passi distante dal mio corpo.
"Che ci fai qui? Sei da sola?" Sbottò, alzando la voce per farsi sentire anche sopra la musica forte.
Ma io ero a corto di parole. Perciò annuii con il capo semplicemente.
Bastò quello però per farlo arrabbiare più di quanto già non lo fosse, stringermi forte un polso e tirandomi fuori da quel posto.
Ma il suo intento di trascinarmi fuori fu interrotto dalle mani di un uomo che si posarono sul mio braccio.
"Harry, è quindi lei la tua dolce metà?"
Aveva un aspetto orribile, occhiaie visibili, labbra spaccate, guance scavate, capelli lunghi ed unti, tirati in un codino basso. Un sorriso disgustoso sulle sue labbra, ad indicare chissà quale pensiero malsano presente nella sua mente.
"Jasper, togliti di mezzo."
Jasper. Ricordavo quel nome e ricordavo anche che non era stato nominato in una frase caratterizzata da qualcosa di positivo. Erick aveva detto che un certo Jasper era colui che vendeva la droga, che uccideva l'uomo che follemente amavo. A trovarmelo davanti la nausea che mi aveva assalito entrando in quel locale, si intensificò.
"Che c'è? Non vuoi presentarmela? Tranquillo, faccio tutto da solo." Sghignazzò.
Allungò una mano, per compiere un gesto che però Harry non gli permise: afferrò il colletto della sua maglia consumata e sporca, spingendolo lontano da me.
"Se ti azzardi a toccarla, o anche solo a sfiorarla, puoi considerarti un uomo morto." Ringhiò, con gli occhi che lanciavano fiamme.
Harry avrebbe ucciso se qualcuno avesse osato toccarmi.
"Vuoi tenerla tutta per te? Deve essere brava allora." Rise quell'uomo.
Rabbrividii al pensiero delle sue luride mani a toccarmi.
"Va a farti fottere."
Harry lo spinse ancora, stringendo poi me sotto il suo braccio. Un senso di protezione consolò il mio cuore che batteva veloce e spaventato.
"Sei per caso impazzita?" Mi disse quando fummo fuori dal locale e lontano da chiunque.
Strattonò il mio braccio, stringendo la presa. Deglutii, guardandolo.
Era arrabbiato, forse come non lo era mai stato; probabilmente avevo davvero sbagliato ad andare lì, a cercarlo dove niente e nessuno era raccomandabile, e soprattutto da sola.
"Ti ha dato di volta il cervello? Venire qua, da sola per giunta?" Alzò il tono della voce, quasi ad ingigantire la gravità del mio comportamento.
"Scusa." Sussurrai.
Lasciò il mio braccio, portandosi le dita tra i capelli e scuotendo la testa.
"Sai che posto è questo? Non puoi venire, non devi venire!"
Gesticolò nervosamente con le mani che, riuscii a notare, tremavano. Probabilmente nella sua testa stava già immaginando tutti i possibili ed orribili avvenimenti causati dalla mia presenza lì da sola.
"Io volevo solo vederti." Dissi, con voce bassa.
"Non mi importa un cazzo, Scarlett! Questo posto non è adatto a te!"
Ed in bilico tra il crollare a piangere ed il desiderio di urlare, mi ritrovai a fare entrambe le cose: piansi e poi gli urlai contro.
"Io volevo vederti!" Dissi un'altra vota.
Le lacrime mi bagnavano il viso, il respiro diventava affannato. Ero nel panico più totale, con i sensi di colpa, la paura e l'amore che mi soffocava.
Ed allora calò il silenzio, dove riecheggiavano soltanto i miei singhiozzi. Avrei già da quel momento dovuto capire che niente più sarebbe stato come prima. Perché Harry se ne restava fermo e non si avvicinava, mi lasciava a piangere e non mi consolava, guardandomi esitante, quasi fossimo due perfetti sconosciuti.
Si portò le mani sul viso, lasciando uscire dalle sue labbra un grugnito frustrato.
"Andiamo via, adesso." Ordinò, dandomi le spalle.
Silenziosamente lo seguii.
Quella sarebbe stata una notte dannatamente lunga.

Di Vetro [HS]Where stories live. Discover now