Silenzio.

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"È in coma", è in coma cazzo ed è tutta colpa mia. Mia e della mia testa di cazzo, mia e di nessun altro.
Quando fu possibile vederla mi precipitai nella sua camera e fu lì, che tra quel suono costante del suo battito cardiaco emesso dalla macchina e medici che entravano ed uscivano, mi fermai ad osservarla.

I suoi occhi erano dolcemente chiusi, sembrava stesse dormendo ma non era così. In quelle vesti non sembrava più quella ragazza bella e fragile che avevo conosciuto ma una figura inerme, ancora fragile e pronta a frantumarsi da un momento all'altro.

Presi una sedia e rimasi a guardare le sue mani, le avevo strette un tempo e lo stavo rifacendo in quel momento; iniziai a piangere nel momento in cui, tenendole la mano, non sentii più la sua stretta salda alla mia.

"Mi dispiace Giusy, mi dispiace.."
In quel silenzio tombale si sentivano solo le mie lacrime ed il rumore della macchina, fin quando non arrivarono in stanza la nonna che ormai conoscevo bene e la madre.
Entrambe avevano le lacrime agli occhi, la madre non faceva altro che ripetere "resta con me.. non lasciarmi anche tu.. so che puoi farcela.." e la nonna sembrava diversa da come la conobbi.

Era la signora più frizzantina e simpatica che io abbia mai conosciuto e vederla a pezzi mi faceva sentire ancor più colpevole di quanto non lo fossi già.
Non riuscivo a parlare con loro, il respiro a malapena mi usciva e quella stanza iniziava a starmi stretta.

Decisi di uscire e di provare ad evadere dai miei pensieri passeggiando tra i piacevoli giardini di quell'ospedale, ora non pensavo più a come stava Giusy ma pensavo ai bei momenti passati insieme; mi sedetti su una panchina posta sul sentiero, di fronte ad essa un grande albero di ulivo in piena fioritura. Presi il telefono ed a quel punto iniziai a scorrere tra tutte le foto rubate:

Le nostre mani incrociate;
la sua figura piccola che conteneva un'anima da guerriero;
lei che sorride;
un selfie che scattai per caso.

Sembrava un periodo così lontano, sentivo di averne bisogno ancora e di non poterla abbandonare mai più.
Avevo un centinaio di foto sue su quell'iphone e ne volevo altre centomila in futuro.

A distrarmi da quei dolci dolorosi pensieri fu Filippo, Irama, vecchio amico delle superiori.
In quell'esatto istante stava portando tra le labbra una sigaretta e subito dopo mi porse il pacchetto da cui ne presi una anche io.

Decise di sedersi vicino a me ed anche lui sembrava aver pianto. Lo avvisai mentre ero in sala d'attesa ed è bello vedere che un pigro come lui aveva avuto la forza di svegliarsi così presto per me e per Giusy.

"Non so che dire bro.."
"Nemmeno io" fu la mia risposta
"Vedrai che andrà bene" mi disse poggiandomi una mano sulla spalla, un gesto di cui avevo bisogno in quel momento.
"Sono stato un coglione.. Non avrei dovuto ascoltarli.."
"Era quella l'auto?"
"Sì, erano loro"
"Porca troia.." a quel punto, mi tolse la mano dalla spalla e si perse a guardare il vuoto.

Nessuno dei due sapeva che dire, finché lui non spezzò il ghiaccio "Vado da lei, se hai bisogno chiamami". Mi limitai ad annuire, ero stanco anche di parlare.

Intanto vidi la madre uscire e mi rivolse parola, stranamente.
"Io vado a prendere qualcosa per rimanere con lei anche stanotte, puoi tornare a casa"
"Non mi va di tornare a casa" dissi sottovoce.

La madre andò verso la sua auto ed in quel momento fu la nonna a rivolgermi parola: "Sei un bravo ragazzo, lei ha bisogno di te quindi non fare cazzate o ti apro il culo"

Insomma, il suo messaggio mi arrivò chiaro.
Passai il mio tempo seduto su quella panchina a pensare, possibile non ci fosse nulla da fare?

Giusy. // UltimoWhere stories live. Discover now