Capitolo quattordici.

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<Eren sei stato fenomenale 'sta sera!> disse la costumista mentre toglieva al rockettaro la giacca di pelle lasciandolo a petto nudo, <Grazie> disse abbozzando un sorriso di cortesia, <È anche merito vostro, senza il vostro lavoro i concerti non sarebbero possibili> disse rivolgendosi allo staff che passava in fretta e furia, come tante api laboriose che attraverso il loro lavoro riescono a far muovere tutti gli ingranaggi.
<La prossima sarà l'ultima tappa, poi basta, non vi voglio rivedere per un mese!> urlò Jean sfilandosi poi la maglietta madida di sudore, <Starai un intero mese a sbaciucchiarti con Marco? Fai schifo> disse con disgusto Annie, intenta a legarsi i capelli.
<Tutta invidia la tua, un fidanzato così bello ce l'ho solo io> rispose con fare altezzoso, <Datevi una calmata, abbiamo poco più di due ore per prepararci, dobbiamo darci una mossa> li riprese Mikasa, <Che sbattimento... è proprio necessario?> chiese Eren speranzoso, aveva tutt'altri programmi per quella sera.
<Si è necessario, soprattutto per te> disse sbrigativa la corvina mentre si muovevano verso i camerini, <Per me? Io cosa c'entro con quello stupido gala?> Mikasa rise sotto i baffi, continuando ad ignorare le domande del rockettaro, "molto più di quanto tu creda" pensò tra se e se la giovane.

<Jean, Eren! Siamo in ritardo, muovetevi!> urlò Mikasa dall'altra parte della porta, dato lei e Annie erano pronte da più di dieci minuti.
<Che stress quelle due> si lamentò Jean mentre si allacciava la cravatta con scarsi risultati, <La perfezione richiede tempo> continuò il sopracitato ragazzo, Eren intanto stava abbottonando la sua camicia nera, il suo completo era del medesimo colore, solo che lungo le gambe correva una striscia laterale in seta, anch'essa nera. La medesima stoffa era stata utilizzata per la sua pochette, che era stata gentilmente piegata da Annie.
<Io sono pronto, Jean ti consiglio di farti allacciare quella cravatta da Mikasa o Annie, non sei neanche lontanamente presentabile> il castano uscì poi dalla stanza, a cornare la sua uscita ci pensato gli insulti di Jean.
<Andiamo?> chiese Annie, lei era una ragazza puntuale e il fatto che fossero in ritardo la rendeva, per tutti, una enorme fonte di ansia.
<Aiutate Jean, non ha ancora imparato come si lega una cravatta> disse il castano avviandosi verso l'uscita dell'albergo.
Si poggiò al muro esterno e accese l'ennesima sigaretta della giornata, era stanco e tediato, avrebbe fatto di tutto pur di non andare a quel gala, ma ad alcuni obblighi non si poteva sottrarre neanche lui. Soffiò via una nuvoletta di fumo, chiudendo gli occhi e assaporando il freddo di quella serata sulla pelle scoperta del suo viso, avrebbe dovuto prendere un cappotto, o si sarebbe sicuramente ammalato, ma in quel momento poco gli importava, non voleva rientrare nell'hotel e sentire le chiacchiere dei suoi compagni.
Ma questo non fu possibile, se la montagna non va da Maometto, Maometto va dalla montagna, pochi secondi dopo fu raggiunto dalle voci dei suoi amici per poi vederli aprire la porta in fretta, il gruppo era capeggiato da Annie che, fasciata del suo vestito blu scuro lungo e attillato riusciva comunque a destreggiarsi sulla breccia nonostante i tacchi a spillo. Il vestito le lasciava la schiena totalmente scoperta, lo scollo era particolarmente profondo per poi fermarsi con dei drappeggi poco sopra il sedere della ragazza, la schiena però era percorsa da un filo di gemme luminose e colorate. L'abito sul davanti era molto semplice, abbastanza accollato aveva come unico punto di luce la medesima collana di prima che si legava intorno al collo sottile della giovane per poi buttarsi dietro la sua schiena in una infinita cascata di luce. <Eren ti ho portato il cappotto, 'sta sera si gela> disse Mikasa rincorrendo Annie e porgendo anche alla sua ragazza la giacca.

<Odio queste feste> disse Eren guardandosi in torno, i suoi occhi caddero su molte figure, tutte agghindate in modo superbo, ma tutte uguali, erano persone grigie, prive di attrattiva e colore, ma si sforzò di sorridere, per donare alla stampa un perfetto primo piano di se.
<Dobbiamo restare qui a lungo?> chiese a nessuno in particolare, ottenendo solo un assenso da parte di Jean, che tornò subito dopo a pavoneggiarsi davanti ai fotografi.
Il castano decise di riversare la sua noia sugli alcolici, unica cosa positiva in quei gala senza la benché minima attrattiva, prelevò un bicchiere di champagne da uno dei vassoi portati dai numerosi camerieri, che sembravano volare con le loro scarpe lucide, obbedendo agli ordini impartiti dall'organizzatore dell'evento, a stento si riusciva a guardarli in faccia tanto andavano di corsa.
Notò di aver attirato su di se l'attenzione di qualche donna, parlavano con la mano davanti alla bocca, cinguettando qualche apprezzamento nei suoi confronti, e ridacchiando alle parole delle altre, avevano tutte la fede al dito, e questo non potè che screditarle ulteriormente agli occhi del rockettaro.
Le luci nella stanza si fecero soffuse, il melodioso suono di un pianoforte si diffuse nella stanza, ma questo non bastò per attirare l'attenzione della giovane rockstar, che continuò a dare le spalle a quella melodia, tediato ulteriormente da essa, ma quando improvvisamente sentì un violino accompagnare quel pianoforte non poté ignorare i brividi che percorsero il suo corpo, non era un violino come tanti, era quel violino, quel suono che mesi prima aveva stregato il suo cuore stava tornando a farlo e l'immagine di quella sera, la loro prima sera, si sovrappose prepotentemente al gala, e pur avendo i piedi nel presente la sua mente era nel passato.
Il pianoforte non esisteva più, esisteva solo quel violino, a cui tentò di dare le spalle, ma fallì, nonostante la paura di rivedere il grande violinista, la bramosia di incrociare nuovamente il suo sguardo vinse e si girò, per poi ammirare la figura del suo dolce amore, la melodia triste del suo violino strinse in una morsa il cuore di Eren, quei giorni senza di lui si tramutarono in pochi secondi, come se l'amore che provava nei confronti del violinista potesse battere il tempo stesso, accorciandolo e facendolo sembrare poca cosa, rivederlo era stato come riprendere a respirare, e tutto il dolore patito in precedenza evaporò come acqua al sole.
Il castano non poté fare a meno di avvicinarsi poggiando il suo bicchiere su un vassoio portato da un cameriere, quella musica lo attirava come farebbe il canto di una sirena, poco importava delle conseguenze, voleva ascoltare quella musica, voleva osservare più da vicino i tratti eleganti del violinista.
Per un attimo, una frazione di secondo, i loro occhi si incrociarono, sentirono di aver perso un battito, come se il tempo si fosse fermato per poi riprendere la sua inesorabile corsa.
Il violinista sentì il cuore esplodergli nel petto, Eren, era lì, lo guardava con gli occhi leggermente lucidi, i suoi capelli erano legati e il suo volto sembrava stanco, ma per il violinista lui era il più bello del mondo.
Corse sulle note più del dovuto, non si preoccupò di chi stesse ascoltando e neanche del povero ragazzo che lo accompagnava con il pianoforte, lui voleva scendere da quel palco, e poi? Non sapeva neanche lui cosa avrebbe fatto dopo.
Quando venne suonata l'ultima nota, il violinista non aspettò neanche la fine degli applausi, abbassò leggermente la testa e scese dal palco, mentre il pubblico in visibilio continuava ad applaudire.
Richiuse il suo violino nella custodia, le sue mani tremavano dall'emozione, cosa doveva fare? Andare da lui? Andarsene?
Prese un respiro profondo tentando di calmarsi, tentando di analizzare la situazione con lucidità e fermezza, ma non ci riuscì, il suo cuore batteva troppo velocemente e le sue mani non smisero di certo di tremare, era in balia della confusione come una foglia è trasportata dal vento autunnale.
Decise di uscire da dietro le quinte, non sarebbe di certo potuto rimanere in eterno lì.
Nonostante i suoi buoni propositi le sue mani iniziarono a sudare e l'aria sembrava non bastargli mai, scostò la tenda e uscì, ritrovandosi poco dopo nel salone principale.
Non fece neppure in tempo a muovere qualche passo, che venne preso per un braccio da Mikasa, la ragazza aveva artigliato con l'altra mano anche il braccio di Eren, il quale era in bilico tra la voglia di saltare addosso al violinista e il desiderio profondo e viscerale di fuggire il più lontano possibile, ma la corvina aveva calcolato anche questa eventualità, infatti, dietro la rockstar c'era Jean e dietro il violinista Annie.
La corvina indossava un vestito nero con le spalline sottili, la gonna tanto lunga da coprirle interamente i piedi, era coperta da uno strato di stoffa nera simile ad un velo, tempestato di pietre colorate che tendevano a diradarsi verso la fine del vestito, infittendosi però sul corpetto, Mikasa era bella di natura, niente del suo aspetto poteva essere definito negativamente, ma neanche quelle gemme poste sul suo vestito erano più luminose dei suoi magnifici occhi a metà tra il nero e il grigio.
<Mi aspetto che voi per una volta nella vita siate sinceri con voi stessi, e che per una volta spegniate i vostri macchinosi cervelli e pensiate con il cuore> allentò la presa dalle loro braccia, <Voi due non siete miei fratelli di sangue, ma a modo vostro rappresentate la mia famiglia, non voglio più vedervi così> fece una pausa e con voce più dura disse <Se dovete dirvi addio ditelo una volta per tutte, e che sia la fine, ma se nel caso sentiate che valga la pena andare avanti e lottare per quello che è vostro allora abbattete i muri che avete costruito e tornate a sorridere. Ve lo meritate.>
Detto questo i presenti si allontanarono, le loro figure si fecero sempre più lontane, ma al loro posto si presentò un freddo e imbarazzante silenzio, forse non c'era davvero nulla per cui lottare.
Levi allora decise di voltare le spalle al castano, proprio come quella sera, ancora una volta Eren lo vide di spalle, lontano da lui, lontani da un "noi".
Fu quando il corvino mosse un passo per aumentare definitivamente la distanza tra loro che Eren comprese che valeva tentare, ricevendo magari un rifiuto, ma tentare avrebbe potuto salvare il suo cuore da un dolore che non avrebbe potuto sopportare.
<Sono Eren Jaeger, è un piacere conoscerla> disse il castano, raccogliendo tutto il suo coraggio, e portando indietro di diversi mesi il tempo.
<So chi è lei, non c'era bisogno di ripeterlo> rispose senza neanche voltarsi Levi, <Lo so, ma credo che si sia sempre in tempo per dare una buona prima impressione di se, e il modo migliore è presentarsi come si conviene> disse, ma ancora una volta Levi non si girò, <Cosa le fa credere che la sua presentazione possa sortire negli altri una buona prima impressione? Io la conosco so chi è lei, non reciti ancora> pur non voltandosi rispose lo stesso, gli sembrava di star accarezzando i ricordi del loro primo incontro, <Non recito, il successo e il fallimento saranno entrambi miei, ma credo nelle mie potenzialità, non sbaglierò> la voce di Eren aveva perso l'iniziale insicurezza, non avrebbe avuto che quell'occasione, doveva coglierla come si fa con il più bello dei fiori.
<Non è cambiato affatto, è rimasto il giovane presuntuoso del nostro primo incontro> il tono della voce del corvino era indecifrabile, ma in cuor suo ammirava il rockettaro per non essersi lasciato plasmare dal mondo, è difficile restare se stessi in un mondo di persone che desiderano l'omologazione.
<Presunzione? È soggettivo, lei conosce una persona che è ormai sta sparendo, non si lasci influenzare dal passato e dia una speranza al futuro> Eren fece un passo in avanti, non voleva stare lontano dal corvino, anzi, non poteva stargli lontano, i loro cuori erano irrimediabilmente legati.
<Futuro? Non esiste un futuro nella sua versione delle cose, quello che ho vissuto, anzi, quello che abbiamo vissuto non è stato che una recita da quattro soldi. Io l'amavo e lei, lei semplicemente non lo faceva> il grande violinista abbassò la testa, <La vita stessa è una recita da quattro soldi, e a noi non è toccata una storia d'amore, ma solo un surrogato di esso> continuò Levi, quelle parole ferirono profondamente Eren, <È vero, la vita è una recita miserabile che vedrai solo tu, ma abbiamo comunque la libertà di scegliere che personaggio essere, abbiamo la libertà di scegliere la nostra storia, perché per quanto spicciola possa essere è la nostra recita e siamo noi a dirigerla>.
Questa volta Levi si girò, e con gli occhi leggermente lucidi chiese <Quale spettacolo vuole portare in scena? La storia del mio amore non ricambiato?> disse con tono quasi ironico, ma sofferente. Eren tacque.
Tacque perché il silenzio nella loro storia era stato più significativo di mille parole, perché nei loro cuori la solitudine non aveva fatto che urlare e la tristezza aveva occupato i loro ricordi con un malinconico pianto. Il silenzio poteva essere colmato in mille modi, tranne che con parole vuote, quelle avrebbero reso il silenzio più forte. Era inutile prendersi in giro, rincorrersi, lasciarsi per poi riprendersi. Era inutile stringere tra le braccia un ricordo andato, lo si poteva lasciare andare e sperare, sperare che il tempo avrebbe guarito ogni ferita e che un nuovo amore avrebbe posto definitivamente una pietra sopra il vecchio.
<La amo> pronunciò, <Non riesco a trattenermi dall'amarla, non ci riesco proprio, cerco di convincermi che qualcuno riuscirà a prendere il suo posto nel mio cuore, che il tempo guarirà le ferite lasciate da un'amore mai sbocciato, ma non ci riesco. Non lo riesco ad accettare> disse, finalmente sincero.
<La odio e la amo, perché mi rende debole ma allo stesso tempo mi da la forza che non ho mai avuto, perché mi fa soffrire e mi consola con l'affetto che non ho mai conosciuto da nessuno e perché lei, solo lei, mi ha dato la forza di sognare un futuro in cui non sono da solo, per poi andarsene> disse Eren, avvicinandosi al corvino che lo guardava in modo indecifrabile, ma che in cuor suo provava una gioia inaudita.
Eren azzerò le distanze, posizionandosi davanti all'uomo che più di tutti amava, <Non pretendo una risposta adesso, so di non poterla chiedere, il tour è quasi finito, manca solo una tappa e poi tornerò a casa> sfiorò con volontaria casualità la mano candida del violinista, <Se sarà pronto sarò lieto di ascoltare la sua risposta, qualunque essa sia> sebbene la voglia di mettere a tacere le parole con un bacio fosse molta da ambedue le parte nessuno lo fece, sapevano bene che ricongiungere le loro labbra sarebbe stata fine per qualunque pensiero razionale, consacrando il cuore al di sopra della mente.
Per questo Eren se ne andò, non prima però di aver depositato un bacio sulla mano del violinista in un gesto galante, essendo poi inghiottito dalla quella folla di persone grigie. Agli occhi del violinista Eren era l'arcobaleno.
La sua mente aveva già una risposta, il suo cuore anche, ma le due non potevano essere più diverse.

Il grande violinista Where stories live. Discover now