Capitolo diciannove.

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Lasciava tutto per avere il nulla, nella speranza che suo figlio potesse avere di più.

<Adesso tua madre è ricoverata nella mia clinica privata, è lì da anni ormai> disse con voce serafica Grisha, ma i suoi occhi tradivano un profondo malessere interiore. Faceva male vedere la donna che non aveva mai smesso di amare in fin di vita.
<Che malattia ha? I soldi non mi mancano posso farmi io carico delle spese mediche...> chiese Eren, aveva sempre tentato di odiare la madre, ma come poteva farlo dopo aver saputo la verità?
<Mi dispiace Eren, ma neanche tutti i miei soldi sono riusciti a salvarla, l'AIDS non le lascerà scampo. Ho tentato il tutto per tutto, credimi> ad Eren mancò il respiro.
<Tua madre era una donna intelligente, una volta capito quello che a cui andava incontro con la prostituzione ha smesso immediatamente di allattarti, tu fortunatamente sei incolume ma... lei no.
Abbiamo provato diverse terapie sperimentali, ma è stato tutto inutile, da quando si è ammalata ho speso tutta la vita nella ricerca di una cura o qualcosa che potesse almeno darle più tempo... ma ho fallito. Le restano pochi giorni di vita ormai>.
Eren stringeva la stoffa dei suoi eleganti pantaloni blu, mordendosi la guancia per tentare di non piangere. Il suo cuore era in frantumi.
La porta di aprì di colpo, sbattendo contro il muro, una figura inviperita si presentò violentemente davanti agli occhi dei presenti.
<Tu! Tu mi avevi giurato che non avresti mai più fatto entrare quel disgraziato in questa casa! Come hai osato portarlo qui ancora una volta?!> Dina Fritz urlò, mostrando ai presenti il peggio di sé. Zeke avanzò verso di lei, tentando con fare gentile di placare l'ira della madre, Grisha sospirò pesantemente e la guardò con tutto il disappunto possibile, sembrava disgustato. Eren rimase fermo, seduto lì, su quella sedia al centro della stanza.
Rimase fermo, in balia degli eventi. Eventi che lo avevano travolto.
<Lui non può stare qui! Questa è casa mia e io non lo voglio più vedere! Né lui, né quella sciagurata della madre!> scivolò via dalle braccia del figlio e scaraventò a terra un vaso cinese, precedentemente perfetto e bellissimo.
<Signora, non può stare lì!Venga via, per favore!> la domestica tentò di richiamarla, invano. <Io non me ne vado, deve essere lui ad andarsene! Adesso!> strepitò piangendo Dina, in preda ad una delle sue innumerevoli crisi isteriche-depressive, <TACI!> urlò Grisha in preda alla collera, ma Dina non si diede per vinta, <Voi stavate parlando di lei, vero? È per questo che non volete farmi ascoltare i vostri discorsi!> disse puntando il dito verso tutti loro, <Anche tu, figlio mio, mi hai tradita per quella maledetta donna. Nessuno mi ama in questa casa!> piagnucolò, poggiandosi allo stipite della porta, tremando a causa della crisi che stava attraversando.
<Nessuno mi rispetta qui! Pensate tutti a lei: a quanto fosse bella, intelligente, gentile... tu pensi anche che fosse una madre migliore di me!> si coprì gli occhi con una mano e indicò Zeke, il braccio le tremava in modo innaturale, i presenti ebbero pietà di lei.
Sembrò riscuotersi e tornò alla carica avvicinandosi con passo deciso al marito, lo prese per la camicia bianca che portava, perfettamente inamidata e stirata. <Sono io la cattiva qui?! Tu mi hai rovinato la vita! È tutta colpa tua, tua, tua! E di quella donna, che possa dannarsi in eterno! Tu e lei, per la serenità che mi avete tolto. Pensi che io non sappia? Pensi che io non veda? Tu mi odi, mi odi da morire, per questo mi fai condurre questa vita miserabile. Da sola in questa casa che appartenne ai miei genitori e che adesso... adesso è la mia prigione!>
<Se solo non...> mormorò Grisha, si leggeva il puro disprezzo nei suoi occhi quando guardava la moglie, <Se solo che cosa? Se solo non mi avessi sposata? Me ne pento anche io, tutti i giorni!> incrociò le braccia al petto quando il marito le scansò la mano dalla camicia, Eren in quel momento la vide sotto un'altra luce.
Lei non era che un'altra povera vittima, una pedina sacrificabile. Per questo provò pena per lei, sola, in una stanza con persone che non le volevano bene. Portava una camicia da notte in seta, abbastanza lunga da coprirle metà polpaccio, era scalza e con i capelli tenuti in una crocchia, da cui alcuni capelli uscivano disordinatamente. Sembrava in guerra con sé stessa, sembrava tremendamente disperata,  sembrava aver perso ogni speranza.
<È colpa tua se lei sta male!> disse Grisha, sbattendole la verità in faccia con troppa veemenza, gli occhi di Dina ripresero a lacrimare, bastava solo guardarla per provare angoscia.
<Per te è sempre colpa mia, no? La colpa non è mai tua, tu sei intoccabile, tu sei sempre nel giusto!> mosse le mani in modo plateale, sbeffeggiandolo, <Hai ragione però, sono stata io a tarparle le ali e sono stata io a farla licenziare ogni volta, ma l'ho fatto per colpire te! Perché sapevo che tu avresti sopportato tutto, fuorché la sua disperazione> puntò il dito verso di lui, con il viso martoriato dal dolore, <Perché sapevo, lo sapevo fin troppo bene, che tu avresti fatto per lei quello che io avrei fatto per te! Io sono stata così ingenua da amare un diavolo come te, per questo mi sono rovinata la vita! Tutta la vita! Una vita intera passata ad amarti e a soffrire per ogni tuo rifiuto, per ogni tuo tradimento e umiliazione! Mi hai distrutta Grisha Jaeger e poi speravi che io accogliessi in casa mia il frutto del tuo tradimento? Mai lo avrei accettato e mai l'ho fatto. Ti aspettavi che lo crescessi come ho fatto con Zeke, che lo amassi, che lo nutrissi al mio seno? Meglio la morte, piuttosto che tale disonore>.
<Madre basta, non soffrire più...> Zeke tentò di richiamarla all'ordine ma ancora una volta lei sfuggì dal suo abbraccio, lo guardò con sguardo ferito, <Pensi che io non sappia, che per tutti questi anni hai passato giornate intere con lei? Pensi che non sappia quanto tu le voglia bene? O quanto tu possa desiderare lei come madre? Scommetto che mi odi anche tu, proprio me, che ti ho tenuto in grembo per nove mesi, che ho sofferto le pene dell'inferno solo per darti la possibilità di nascere. Questo non vale nulla, eh? Valgono le belle parole di quella meretrice, valgono i suoi consigli e i suoi insegnamenti. Anche tu mi hai tradita. Mentre ti amavo tu, come tuo padre, preferivi lei a me. <Valgo così poco?> chiese non ottenendo risposta, <RISPONDETE!> le sue urla squarciarono dolorosamente il silenzio venutosi a creare, aveva le mani tra i capelli e tirava, tirava con forza, come se avesse voluto stapparli. <Non è vero, non vali poco> rispose Eren, guardandola negli occhi.
<Chi ama così intensamente da autodistruggersi, non può valere poco> i presenti lo guardarono, stupiti e confusi. Stava forse prendendo le sue difese?
<Stai lontano da me, tu qui non ci dovresti stare> disse accigliata Dina, guardandolo di traverso come se non fosse neanche degno della sua attenzione. <Tu dovresti essere il primo ad odiarmi, è colpa mia no? Tua madre è in fin di vita a causa mia, delle mie scelte, delle mie azioni. Odiami allora. Hai passato l'infanzia in un lurido orfanotrofio a causa mia, sono stata io a non volerti accogliere in questa casa, altrimenti avresti vissuto qui, al fianco di tuo padre. Ti ho rovinato la vita merito il tuo disprezzo> disse con le fiamme negli occhi, era altezzosa, superba e fragile. Si poteva scorgere, sotto le pesanti occhiaie, la bellezza che un tempo aveva regnato sul suo bel volto, pallida e candida come la neve, innocente dapprima e dannata più tardi. Fragile lo era sempre stata, il tempo aveva avuto solo il compito di indurirla, attraverso i dispiaceri, il dolore e il tradimento. Dina aveva amato quello che la vita le aveva offerto e poi, aveva odiato la vita per averla ingannata.
Amava suo marito, ma lui amava un'altra donna; amava suo figlio, ma lui avrebbe voluto per madre un'altra donna; amava sé stessa, ma avrebbe voluto essere un'altra donna.
Dina era sola, in balia del vento e del tempo, un tempo che non passava mai e un vento che non trovava mai pace: come il suo spirito in continuo tumulto. Sballottata dalla vita, nessuno era stato attento alla sua fragilità, perché lei era come una bambola di porcellana: bella, elegante, candida ma tremendamente delicata e frangibile. C'era sempre qualcuno migliore di lei, qualcuno che per gli altri fosse perfetto: erano stati gli altri a rovinarla, perché nessuno aveva avuto cura di lei, la creatura più fragile dell'universo.
Quando il marito le aveva chiesto, quasi imposto, di far vivere Eren con loro lei aveva avuto un crollo. Le mancava l'aria nel vedere quel bambino giocare con Zeke, il suo dolce pargolo. Sentiva che suo figlio sarebbe diventato marginale nel corso del tempo, perché Eren aveva la straordinaria capacità di essere speciale: tutti lo amavano, tutti si incantavano nel guardarlo, tutti lo preferivano a Zeke. Ma lei non avrebbe permesso alla storia di ripersi una seconda volta, non avrebbe permesso che suo figlio pagasse le spese del padre, giammai. D'altro canto però non riusciva ad odiare quel piccolo raggio di sole. Non lo amava, questo mai, ma non lo odiava, non ci riusciva. Si sentiva legata a lui attraverso il filo della solitudine: erano entrambi soli al mondo, abbandonati in nome di qualcosa di più grande e dannati, dannati dall'amore che anelavano ma che non avrebbero mai avuto. Il cuore di Dina era buono, forse anche troppo, per questo non riuscì mai a fargli del male, seppur la sua testa volesse questo.

Il grande violinista Where stories live. Discover now