8- What is love, baby don't hurt me

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Una volta mi hai chiesto il motivo per il quale sono tornato a vivere qui, a Sydney. Ti ho risposto dicendo che i miei genitori erano stati licenziati dal loro precedente lavoro perché l'azienda aveva chiuso i battenti.
Ma non e così che sono andate le cose. È la versione dei fatti che ci siamo creati per ripudiare quella che è stata e sempre sarà la realtà degli avvenimenti: ognuno di noi ha qualche problema.

Dopo esserci trasferiti a Melbourne ero rimasto solo come un cane. Letteralmente, le uniche persone su cui potevo contarne la presenza erano i miei fratelli. A scuola tutti mi prendevano per il culo perché ero il nuovo arrivato, disadattato come una tigre in uno zoo, senza nessun amico e con una frangia da emo tagliata alla bell'e meglio con delle forbici da cucina.

Il nostro quartiere era un posto tranquillo, mamma e papà lo avevano scelto perché il loro nuovo lavoro distava a pochi chilometri dalla nuova casa.
Zio Richard era gentile.
Veniva ogni qualvolta i miei genitori non si trovassero a casa. Ben e Jack avevano gli orari prolungati fin dopo pranzo perché frequentavano gli ultimi anni del liceo. Eravamo solo io e lui. Per tutto il pomeriggio. Fin quando papà mi chiamava per dirmi che lui e mamma stavano per tornare. Allora zio Richard mi ordinava di rivestirmi e non dire ai miei genitori della sua visita. Mi portava pure i suoi vinili, li posizionava sul giradischi e restavamo ad ascoltare la musica nella mia camera. Dicevo a mamma che me li aveva prestati un amico della nuova scuola, anche se io non avevo amici nella nuova scuola.

Zio Richard ne aveva abbastanza, di problemi. Era stato in un centro riabilitativo per tossicodipendenti, viveva da solo, aveva un qualche disturbo narcisistico di personalità e ragionava con quella mente sfasata che gli era rimasta dopo tutti quei farmaci che continuava a ingurgitare. Aveva due tentati suicidi alle spalle e appuntamenti fissi con psicoterapeuti.
Aveva molti, tanti problemi. E forse sono stati proprio quelli a indurlo a fare ció che ha fatto; mi ha trascinato giu' con lui perché ero stata l'unica persona che si era ritrovato vicino.

Quel giorno zio Richard mi aveva portato un disco dei Ramones. Lo avevamo lasciato girare e girare fin quando, dalla porta della stanza, era comparso papà. Sopra le note della canzone non avevamo sentito l'auto parcheggiare nel garage.
Io e zio Richard eravamo entrambi sul mio letto. Buffo pensare al fatto che io stia rivivendo questi ricordi come se fossi solo uno spettatore esterno, come se fosse solo un sogno. 
E non ricordo ció che successe dopo. Ma poi c'ero io che venivo portato da una parte all'altra della città e parlavo con tantissima gente diversa di mio zio Richard, e poi c'erano gli antidepressivi e il vomito e una condanna al carcere per pedofilia e tutti che sembravano obbligarmi ad essere triste e depresso perché un uomo adulto aveva abusato di me innumerevoli volte, e non mi credevano quando dicevo che lo zio era una persona buona che sapeva dimostrare le sue sfaccettature in modi strani come quello di portarmi vinili e dirmi che la mia frangia era fica e che tutto sarebbe andato per il meglio. Era un modo tutto suo di dimostrare affetto, quello. Era ció di cui avevo bisogno.

Ero rimasto solo io e la mia parola contro decine di persone che mi trattavano come fossi un vaso di cristallo. Trasparente, talmente vuoto da sembrare inesistente. E alla fine ho imparato ad esserlo davvero, trasparente. Mi spostavo come un fantasma dallo studio di uno psichiatra a quello di un altro, parlavamo sempre delle stesse cose e finivo per dimenticarmi tutte le altre.
Ed è quando mi sono calato nei panni della vittima, quando ho fatto mente locale di tutto ció che era accaduto, a quel punto ho capito davvero che zio Richard non era buono come fingeva di essere.
E io, quel primo pomeriggio di dicembre, non volevo davvero che mi toccasse.
Ma avevo solo bisogno di attenzioni.

E quindi abbiamo deciso tutti in comune accordo (tutti tranne io, che per loro ero troppo traumatizzato anche solo per esprimere il mio parere), che sarebbe stato meglio cambiare aria. Quindi siamo tornati qui, a Sydney, subito dopo la fine della scuola. Ho parlato con nuovi psichiatri e l'unico con cui mi sono aperto davvero è il Dottor. Mendes, che è il solo a non vedermi come un povero ragazzino bisognoso di aiuto che non sa come lasciarsi alle spalle un passato burrascoso.

Sono vivo, sono qui. Continuo a ripeterlo.
Ma ancora non riesco ad ascoltare i Ramones senza fissare la confezione di antidepressivi sul comodino.

E adesso non so come comportarmi. Mi piaci, Michael. Mi piaci mi piaci mi piaci.
Ma non capisco cosa io debba fare. Non so come muovermi, non so calibrare le parole quanto basta per poter diventare qualcuno la cui presenza viene calcolata.
Sono in competizione con me stesso da quando i Ramones hanno smesso di suonare nel giradischi. C'è una parte di me che corre, continua a correre a perdifiato per superare la mia altra metà, l'altra parte di me stesso, che pianta i piedi a terra e mette radici.

Ma la cosa che mi fa più male è che se quel pomeriggio non ci avessero scoperto, nessuno avrebbe notato che c'era qualcosa di strano in me. Nessuno si sarebbe accorto dei miei occhi arrossati a causa dell'insonnia o di tutte quelle volte passate a mordermi le labbra per cercare di non piangere. Nessuno si sarebbe accorto di niente.
E forse sarebbe stato meglio così.

 𝐌𝐈𝐃𝐃𝐋𝐄 𝐅𝐈𝐍𝐆𝐄𝐑Onde histórias criam vida. Descubra agora