13- Where's my mind?

289 51 3
                                    

Ci sentiamo in dovere di dare un senso a tutto ciò che facciamo. Forse abbiamo ragione.
E abbiamo paura del cambiamento. Per questo siamo sempre tutti qui. Stessa gente, stessi posti, stesse vite. Ci spaventa mettere un piede oltre lo zerbino, ci irrita la diversità.

Sono stato ore intere a pensare a quale sia il motivo di tutto questo. Nulla di preciso, un'accozzaglia di pensieri e cose e situazioni e domande esistenziali alle quali neanche Platone riuscirebbe a dare risposta. Sto cercando di spiegare il Teorema dell'Esistenza pur non sapendone nulla a riguardo. È così sublime il non sapere.

Alle persone piacciono le cose che non capiscono, le poesie che non comprendono, i quadri che non li rappresentano e i libri che ancora non hanno letto. Fingono di capire il sapere solo per mostrarsi più intelligenti agli occhi degli altri e ai propri, quando stanno davanti allo specchio. Fanno finta di riassumere tutta la loro esistenza all'interno di un versetto senza capire che la vera vita, quella di cui parlano i poeti e dipingono i pittori, sta nel cercare di non capire il sapere stesso.

La mente è forse il potere più grande dell'uomo, ma anche il suo peggior nemico. Gesù Cristo io sto cercando di spegnerla da tempo.
E ci stavo pure per riuscire, ci metto la mano sul fuoco. Una birra, vodka liscia e un altro mix letale di alcolici fatto nella cantina di mio padre.
Mi sono ritrovato a trafficare per strada come uno zombie, senza più cervello ma assetato di essi. Voglio mangiare il cervello di Michael Clifford, quel cervelletto malato e deteriorato che amplifica e sintetizza frasi e situazioni nel modo più artistico che ci sia.

E quando ho aperto gli occhi ero steso su una panchina e Michael era a pochi centimetri da me.
Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto. Michael è la mia montagna.

Dopo tutti quei giorni, eccolo lì davanti che pretende di essere triste per la mia e la sua stessa assenza. E allora ho iniziato a prenderlo a pugni, giuro su Dio che l'ho fatto. Avevo bisogno che facesse lo stesso.
Ma lui che ha fatto? Lo ha capito subito che necessitavo di essere buttato al suolo, ma non si è mosso. Lo ha fatto apposta, il bastardo. Ha lasciato che lo prendessi a pugni e che il sangue scorresse a cascate dal suo volto. Nemmeno un movimento, completamente assorto se ne stava con un sorrisetto in volto steso sul cemento del marciapiede, le braccia spalancate.
E allora ho dovuto fare io il lavoro sporco, mi sono dovuto buttare giù da solo. E ho iniziato a piangere. Cazzo se ho iniziato a piangere. Gesù se ho iniziato a piangere.
Alla fine era tutto un insieme di sangue e lacrime allucinante, il suo sangue sul mio volto e le mie lacrime sul suo. Ma lui continuava a non dire niente, mi accarezzava i capelli mestamente, come se non fosse stato davvero lì e io fossi frutto della sua immaginazione. Forse è stato così. Forse ci siamo immaginati tutto fin dal principio.

 𝐌𝐈𝐃𝐃𝐋𝐄 𝐅𝐈𝐍𝐆𝐄𝐑Where stories live. Discover now