19- Inno alla Morte

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Ieri stavo solo seduto sul portico di casa, un libro pescato dalla libreria in salotto e il sole che calava oltre le case del quartiere. "Cento sonetti d'amore", era questo il titolo del libro. Di Pablo Neruda. Un bel tipo lui, un romanticone morto di cancro alla prostata, ma alcuni dicono si sia trattato di un avvelenamento, in realtà. Comunque sia mi piace il suo spirito, era un bel tipo. E anche se odio le cose romantiche o che riesumano aspetti troppo sentimentali della vita cittadina, ho continuato a leggere quelle poesie e a lasciare pezzi di foglie secche come segnalibro per ricordarmi di darci una ripassata, più tardi.

Papà ogni tanto sbirciava dalla porta-finestra per accertarsi che io mi trovassi ancora seduto sull'amaca, e non chissà dove per il quartiere a limonare con qualche drogato. Fingevo di non accorgermene, fingevo pure di star aspettando Michael. Fingevo più a me stesso. Io non lo stavo davvero aspettando. E allora ho continuato a leggere e leggere, come non avevo mai fatto in vita mia da anni a questa parte. E le pagine strabordavano di foglie secche e di attesa. Attesa per solo Dio sa cosa.

Poi mi sono chiesto quali fossero state le ultime parole di Neruda. Se qualcosa di incredibilmente poetico e significativo, o una semplice frase ordinaria per rendere la propria morte il meno entusiasmante possibile. Ho fatto qualche ricerca. E non ho trovato nulla. Dimenticato dal mondo. Chissà se se lo aspettava.
Allora mi sono chiesto quali possano essere le mie ultime parole, se finirò dimenticato dal mondo pure io o tutti mi ricorderanno con un'immagine distorta di me e di quello che sono stato.
Vorrei fare qualcosa di grande. Dire più di quanto io abbia mai detto nella mia intera vita, un po' come Cesare Pavese, "Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.", o Lev Tolstoj, che si è chiesto come muoiono i contadini, Oscar Wilde che si lamentava della carta da parati della stanza o Gertrude Stein, che ha chiesto quale fosse la risposta a solo lei sapeva cosa. E poi, non essendoci stata alcuna risposta, chiese quale fosse la domanda.

Sto pensando a delle parole da dire, le sto soppesando con cura. E poi, a un passo dalla mia morte, quando avrò avuto il tempo di impararle a memoria, le reciterò solennemente con la mano al cuore, fingendo mi siano venute al momento. Mi fingerò un poeta a un passo dalla morte, e dato che me ne andrò da tale, tutti mi ricorderanno in questo modo. Un poeta, perché prima che esalassi il mio ultimo respiro fui tutto ciò che un poeta ha bisogno di essere; innamorato, triste e incazzato.
Le persone credono a tutto, a patto che tutto sia raccontato nel modo giusto e con il più pratico numero di particolari. Pure insignificanti, a patto che rendano tutto più realistico possibile. Utilizzeró un linguaggio ricercato per conciliare la mia lettera d'addio e gli animi irrequieti di coloro che vi poggeranno sopra lo sguardo.
"Il giovane poeta dagli occhi di diamante, Luke fottuto Hemmings. Colui che della vita non ne vide mai traccia." Dio se è un titolo da biografia, questo.



La cosa che più mi inquieta è il fatto che io stesso abbia scritto "giovane".

 𝐌𝐈𝐃𝐃𝐋𝐄 𝐅𝐈𝐍𝐆𝐄𝐑Kde žijí příběhy. Začni objevovat