27) Il viaggio verso le frontiere del regno Parte 3

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Il paese di Schiapacasso possedeva il suo torrente, passava giusto nella città sotto il ponticello che dava sulla piazza centrale. Da quell'acqua senza alcun ristagno non salivano zanzare, acqua ancora fresca delle fonti montane da cui scendeva.

Schiapacasso non soffriva la fame, con tutto il sole che carezzava i suoi campi, il giusto d'estate e il minimo d'inverno, dal terreno attorno al paese arrivavano tante patate da riempirci trenta carri.

Al paesano di Schiapacasso non mancava nulla eppure sentiva un vuoto. Presto risolto, gli schiapacassani inventarono una piccola festa campestre: ragazzini che cavalcano pecore.

Uscito di chiesa, per la cinquantesima domenica dell'anno, il capomastro di Schiapacasso salì sul podio e alzò le braccia

«Si dia inizio al palio!»

«Sì!» esultarono i paesani.

Un caschetto di cuoio sulla testa del figlio e uno schiaffo alla pecora, i concorrenti sciancati nelle gare degli scorsi anni non spaventavano nessuno, perdenti.

Quest'anno correvano ragazzi che giuravano di rimanere in groppa fin oltre il traguardo. Testa a testa, tre di questi infanti fantini traballavano sul dorso delle loro pecore, al galoppo lungo un corridoio di fango, recintato di legno e di persone con le mani tese su di loro.

«Vai vai!» gridò la folla quando quello di sinistra capitombolò «Stringi le corna!» urlavano mentre quello di destra cadeva.

Quello al centro, lui s'era allenato sul campo del padre, disarcionato per giorni, conosceva il suo pecorone e sapeva dove afferrarne la lana. Ora vedeva il palio infiocchettato sul traguardo «Sarò il migliore, papà.» sussurrò, qualcosa però gli suonò strano.

Schiapacasso non esultava più, colpita da una fattura forse o dalla pazzia. A tutti parve di vedere un camoscio saltare la recinzione sulla partenza, correre nel corridoio e raggiungere il ragazzino in testa. Bizzarria non si limitò a tanto, e questo lo raccontò pure il prete la domenica dopo, sul camoscio galoppava un uomo sconosciuto «Aiuto!» gridava quell'uomo «Aiuto!»

Per colmo, il camoscio passò il traguardo per primo e proseguì la sua corsa chissà dove.

Nessuno avrebbe creduto alla propria vista se un attimo dopo quattro stranieri non fossero arrivati «Avete visto passare un caprone?» chiese la donna tra questi «Un cacciatore?» fece lo smilzo «O tutte due?» domandò quello basso.

«Di là.» indicò il capomastro che, corso a prendere il palio lo consegnò a quei quattro «Se lo vedete, ditegli che a Schiapacasso è il benvenuto.»

Quelli corsero via, lasciando alle spalle un paese sconvolto, attonito. Il secondo arrivato, il ragazzino, sbatté per terra il proprio caschetto e lo pestò «Sono un fallito!»

Difficile da immaginare per chi non ne abbia esperienza, il dorso di un caprone traballa più che saltare, soprattutto se in pianura. Di sicuro più confortante del viaggiare per una ripida discesa, ma molto più estenuante.

Quando il caprone selvatico, il camoscio, fermò la corsa, il cacciatore dormiva. I piedi legati alle corna della bestia, intenta a brucare, la testa ciondolante indietro che la coda gli solleticava un orecchio mentre l'ano gli colorava di feci la nuca.

«Ah!» si svegliò nell'incubo che sperava di aver sognato «Oh no.»

Unico sollievo che l'animale si fosse rilassato, confuso vagava per un sentiero, annusava le impronte nel fango e risaliva un colle. Al cacciatore bastò d'esser vivo, bastò quel momento di pausa e, magari la sera, quando il camoscio si sarebbe assopito lui avrebbe tentato di slegarsi.

Pomo d'oro fuorilegge || Vincitore Wattys 2021Where stories live. Discover now