34) La fatica della montagna

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Sul dorso spoglio di un ripido pendio Filomeno levò la mela dalla sacca e la alzò al sole, questa si aprì in foglie e si trasformò in Lisifilio. Il principe ancora stringeva le mani sull'elsa, i suoi occhi abbacinati dalla costa soleggiata del monte.

Uno sguardo indietro, Mavelina e Fedele dondolavano la testa sulle ginocchia piegate sopra ai passi, dietro di loro il confine della foresta, arrestato sul cominciare della salita.

«Avete superato la linea degli alberi.»

Fedele salutò con un cenno di capo «Principe.»

«Ciao» sospirò Mavelina «Fa freddo qui.»

«Su questo monte, principe» fece Filomeno «deve esistere una maledizione peggiore di quella sulla foresta: non cresce un albero.»

«Su tutti i grandi monti non crescono alberi.» fece Fedele.

«No» lo corresse il nano «Su tutti i grandi monti ci sono dei nani al loro interno, che assorbono la linfa delle rocce e la levano agli alberi. Ma sotto questo, sono sicuro, non ci sono nani.»

«Come fai a dirlo?»

«È tutto in disordine: quella frana laggiù, ci sono un sacco di pietre fuori posto e, anche se è solo gusto estetico, io levigherei quella cima a sinistra mentre taglierei un poco più aguzza quella più in là, vedi?» schioccò le dita «Le cime piacciono quando sembra che pungano il cielo, anche perché le cime alte ma levigate sospirano nuvole e non è carino e poi...»

«Vuoi che lo interrompa?» bisbigliò Fedele nell'orecchio del principe.

«No, tu chiacchieri molto di più. Comunque come siete arrivati qui?»

«Abbiamo corso per una notte, appena è salito il sole sono salito sugli alberi e ho notato il monte.»

«Mi ascoltate?» brontolò Filomeno «Vi dico che questo monte è maledetto.»

«Suppongo sia la linea degli alberi, mastro nano» fece Lisifilio «Il mio regno è nordico, qui gli alberi non crescono se si sale d'altitudine, per il freddo.»

«Per il freddo?» il nano fermò il passo, col naso chino sul terreno «Quindi questo cos'è?» seguì col dito teso una traccia che solo lui vedeva, raschiò via dal terreno quei ciuffi d'erba, spalò della terra, raccolta nella conca delle mani, due passi avanti e due passi ancora, poi una spazzata con la suola della scarpa «Eccolo.» sotto quella terra un grosso ceppo d'albero, tagliato alla base si potevano contare le linee dei suoi cerchi «Molti inverni ha vissuto quest'albero. C'è una sola spiegazione, l'albero è cresciuto in pianura e poi il monte è cresciuto sotto di lui e lo ha sollevato.»

«Qualcuno l'ha tagliato.» affermò Fedele.

«Qualcuno lo ha... Oh!» sbuffò Filomeno «Inventati storie meno assurde.»

Mavelina posò le mani sulle spalle dei due, li chetò con quel gesto, le labbra tirate e le sopracciglia storte in su, continuò la salita e loro la seguirono. Quelle mani femminili lavavano i loro dubbi, non per scioglierli ma solo per levarli, dimenticarli e proseguire la salita.

Un monte da scalare, senza un sollievo sulla cima, senza un inseguitore alle spalle, solo un grosso monte e tanta fatica da accettare. Nemmeno Mavelina conosceva le speranze e le opportunità di quella salita, nemmeno sapeva quanto sarebbe durata, si limitava a perdurare nel muoversi, a sforzarsi anche senza sicurezza sul perché, pregando, almeno un poco, che sulla cima si trovasse qualcosa, senza la pretesa di una meta.

Prometteva però qualcosa quel monte, in fondo lo sentiva che doveva arrivare un premio, e più salivano più alle loro spalle si mostrava, un panorama che allungava il mare d'alberi, con l'orizzonte che correva più lontano

Pomo d'oro fuorilegge || Vincitore Wattys 2021Where stories live. Discover now