39) Due uccelli tra le nuvole

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La cima di un rametto, con la sua fogliolina scaldata al sole, può sostenere il peso di un passo, quello di un acrobata, così riteneva Fedele, e non un acrobata qualunque.

Ne serviva uno con un passato in marina, con le caviglie abituate al rollio di un ponte di nave, uno familiare coi tori della steppa occidentale, quelli che si scuotono quando qualcuno li ingroppa, che conoscesse la differenza tra una pigna a cono e una pigna a tubo, a quanto pareva le une più indicate delle altre per posarci un piede, ma soprattutto serviva un acrobata che conoscesse la poesia, fondamentale secondo Fedele, che quell'acrobata potesse volare con l'animo, così anche il corpo l'avrebbe seguito.

Correre sulla cima degli alberi con la mela d'oro in tasca, svelto quanto una libellula sulla superficie di un laghetto, posare impercettibile la punta della zampa sulla superficie dell'acqua e con un frullio d'ali balzare oltre.

Fedele aveva paura dell'oscurità, della notte, dei mostri, del cadere sotto le fronde, di perdere la mela, di mille altre cose e di non ritrovare Mavelina. Chissà che anche la paura non appartenesse alle esperienze dell'acrobata, chissà che quella di non ritrovare Mavelina non fosse una paura fondata.

«Mavelina!» gridò a squarciagola.

«Grrr!» rispose il ringhio di un branco di lupi dal pelo nero, correvano sotto le ombre degli alberi all'inseguimento di quella scia di paura che Fedele si lasciava alle spalle. Forse sì, forse la paura serviva all'acrobata, come carburante, che Fedele si sentiva bruciare sulle natiche «Aiuto!» ecco un passo in fallo e quella fogliolina che lo tradiva, certo non si trattava di un albero dalle pigne coniche e nemmeno di un ramo troppo sottile, eppure Fedele perse l'appoggio.

«Lis!» con un colpo di mano lanciò la mela fuori di tasca «Prendimi!»

«Fedele!» apparso coi piedi su un ramo Lisifilio si trovò con la mano già stesa in quella dell'amico, lo risollevò dalla caduta, tanta forza ci mise che pure lui perse l'equilibrio.

«Scompari» gli fece Fedele.

Lisifilio obbedì, sollevò il compagno fin a ridursi al capitombolo, poi diede un colpo di mantello e sparì. Al posto della sua mano Fedele si trovò tra le dita la mela d'oro e con la spinta ricevuta riuscì a volare fin all'albero di fronte e ai suoi solidi rami.

«Cosa succede?» il principe ricomparve di fronte a un Fedele aggrappato alla cima di un albero, col fiatone in gola e gli occhi sgranati in basso.

«I lupi hanno capito che possono abbattere gli alberi su cui mi riposo.»

«Ce la fanno?»

«Sarebbe il terzo che abbattono.»

«E Mavelina?»

«Non si trova, Lisifilio. Non si trova nessuno. Questo regno è davvero maledetto, dobbiamo trovare la Regina Nera e fare qualcosa.»

«Come vuoi trovarla? Ci facciamo trasportare nelle pance dei lupi? È un'idea interessante.»

«Un'idea» il fusto vibrava dei canini consumati nel legno alla base di quell'albero, Fedele con gli occhi persi sull'orizzonte d'alberi e quell'ultima parola che sfarfallava le sue quattro lettere nella sua testa "idea".

Nessuno chiedeva mai se lui, grande acrobata, avesse montato un bovino delle steppe, o se vantasse dei trascorsi in marina, e Fedele avrebbe comunque scansato la domanda, perché la risposta sarebbe stata no. Di raccontare a Mavelina la vita di un orfano, non gli andava, cresciuto da un menestrello e poi fuggito grazie a un'idea balzana uscita fuori all'improvviso come tutte le sue idee.

«Fedele?» Lisifilio gli strinse la spalla «Ci sei? È il momento di trovare un'idea.»

«Sai perché me ne sono andato da casa del mio maestro?»

Pomo d'oro fuorilegge || Vincitore Wattys 2021Where stories live. Discover now