QUATTRO MENO UNO

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I J-EY erano all'apice del loro successo. Con sette anni di carriera alle spalle, cinque album e un tour mondiale appena concluso, avevano raggiunto quella zona sicura in cui i musicisti più giovani non vengono più visti come un fenomeno momentaneo, ma come qualcosa di stabilito.

Nessuno dei quattro membri aveva più di venticinque, ventisette anni. Al tempo non sapevo i nomi di ognuno di loro, per me erano un'entità che passava alla televisione o alla radio mentre ero occupato con qualcos'altro, che fosse pranzare o lavorare nella officina di mio padre, ma più o meno li avevo presente fisicamente. E con "più o meno" intendo dire che riconoscevo soltanto il cantante, come la maggioranza delle persone.

Emmett Bay era difficile da dimenticare. Le sue foto ti perseguitavano sulle riviste, sui diari delle ragazzine delle medie, sui cereali con cui fai colazione alla mattina, ed era riconoscibile non tanto per la faccia squadrata, ma per i capelli. Aveva un taglio da militare con una tinta magenta così brillante che doveva macchiare tutti i cuscini su cui appoggiava la testa, ma non credo gli importasse granché: era il suo marchio di fabbrica. Chiunque si facesse un taglio o un colore simile veniva accusato di volerlo emulare.

Gli altri tre componenti della band parevano fare da scenografia quando Emmett era sul palco. Erano dei musicisti affermati, probabilmente i migliori nei rispettivi campi, ma non risaltavano all'occhio. Il bassista era di colore, il chitarrista era un biondo anemico e il batterista si trovava sempre così in fondo al palco che nessuno lo aveva presente quando lo si nominava.

Si diceva che i J-EY si fossero conosciuti alle superiori. La forza del loro gruppo stava nell'essere stati compagni di scuola e migliori amici prima di diventare colleghi e soci, ma nemmeno una relazione così solida poteva salvarli dal destino di ogni band.

Dovevano aspettarselo, probabilmente ci avevano già pensato e avevano ritenuto che quel fatidico avvenimento fosse riservato ad un futuro lontano, invece piombò su di loro nel presente. Mentre erano più in alto di quanto non fossero mai stati.

Non era un giorno come tanti. Il tour mondiale era approdato a New York per l'ultimissima data, quella che segnava la fine di un'era e per cui i biglietti erano introvabili da mesi, e c'era eccitazione nell'aria. Le aspettative dei fan erano alle stelle per tutte le promesse che gli erano state fatte, ma fra i membri del gruppo non si respirava lo stesso entusiasmo. Prima di tutto erano stanchi. Erano stati sballottati da una nazione all'altra per mesi, avevano perso la cognizione del tempo e avevano decisamente bisogno di una vacanza, dal tour e fra di loro. Cercavano di non darlo a vedere, ma era difficile nascondere l'assenza di sorrisi smaglianti quando tennero una conferenza stampa nel pomeriggio, qualche ora prima del grande evento.

I giornalisti si ravvivarono quando li videro entrare nella sala conferenze. Iniziarono ad accecarli coi flash dal momento in cui varcarono l'ingresso e si ammonticchiarono fra di loro per allungare un microfono, cercare l'inquadratura migliore, schiarirsi la voce in vista delle domande che avevano da fare per i rispettivi emittenti. Emmett prese a salutare tutti e a stringere mani, gli altri tre andarono a sedersi al lungo tavolo senza tante cerimonie. Lasciarono il posto centrale per Emmett, come erano abituati a fare, e tacquero finché il loro cantante non si sedette. Rivolse un gran sorriso a tutti e quello decretò l'inizio della conferenza.

"Buongiorno, signori! Che si dice?"

Metà dei giornalisti alzarono la mano per prendere parola, l'altra metà parlò e basta. Emmett non colse una sola domanda da quel garbuglio di voci e questi tornarono a parlare tutti insieme nel tentativo di prevalere sugli altri, peggiorando la situazione.

A lato della stanza, in piedi davanti alle porte, una signora bionda sulla quarantina sbottonò la giacca del suo tailleur. Era Samantha, la manager dei J-EY.

THE LOVING ONE (BTS FanFiction - Yoonmin)Where stories live. Discover now