BIRRA DELLA PACE

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(La mela di Biancaneve)

Me lo avevano detto che ogni tour era una piccola impresa, ma finché non arrivò il giorno della partenza non vidi quanta gente e quanti veicoli venivano impiegati per permettere a me e ai J-EY di esibirci per tutta l'America.

Era una bella giornata di sole. Il cielo era terso, il rombo dei motori faceva da sottofondo ad ogni conversazione e l'asfalto tratteneva il calore dell'estate che era appena cominciata. Il punto di partenza era stato prefissato in un'enorme parcheggio fuori dal centro di Filadelfia. Mi aspettavo di vedere tante macchine, magari qualche camioncino, ma non immaginavo che mi sarei trovato davanti almeno quindici camion a dir poco enormi. Il nostro palcoscenico era tutto stipato lì dentro e con esso dovevano viaggiare anche l'attrezzatura, le console e tutta la troupe che comprendeva tecnici delle luci, tecnici del suono, truccatrici, costumiste, assistenti, aiutanti. Erano tutti indaffaratissimi per la partenza, spostavano oggetti, custodie, scatoloni. Si spostavano da una parte all'altra con il passo deciso di chi ha delle istruzioni a cui attenersi e tutto quel brulicare dava l'impressione di essere in un formicaio.

Samantha mi fece fare un giro turistico. Io le correvo dietro trascinando la mia valigia da tutte le parti e nel frattempo stringevo mani, facevo conoscenza, mi presentavo. Tutta quella gente lavorava anche per me e io trovavo essenziale doverne conoscere il più possibile, anche se rallentavo Samantha e la sua camminata impettita a ritmo di tacchi.

Ma il dulcis in fundo arrivò alla fine. Dopo aver schivato un paio di strumenti musicali che venivano caricati su un camion, mi ritrovai davanti agli occhi un bus. Era il veicolo sulla quale io e i J-EY ci saremmo spostati da un'arena all'altra e mi precipitai al suo interno con la foga di un bambino che avvista un parco giochi da lontano.

All'esterno era nero, anonimo. Anche le vetrate erano scure, non c'era nulla che svelasse l'identità dei suoi preziosi passeggeri, ma all'interno non era troppo diverso dagli autobus di linea a cui ero abituato io. A parte per i sedili nuovi di pacca. Nessuno si trovava già a bordo perché tutti, avendo più esperienza di me, sapevano che quel luogo sarebbe diventato claustrofobico nel giro di due settimane, ma io ero entusiasta. Volevo mettermi a sedere di fianco al conducente, volevo leggergli le cartine delle autostrade e guardare il mondo che scorreva sotto le ruote del nostro bus.

Ma il mio desiderio non poté essere esaudito al momento. Io e Samantha tornammo all'aria aperta, lei aveva altre mille cose da fare prima della partenza, ma prima di andarsene mi prese da parte. Il bus ci faceva da separé al resto dello squadrone, non c'era nessun altro da quella parte della fiancata.

"Ci sono un paio di cosette su cui non mi sono raccomandata durante gli scorsi incontri. Non volevo farti la paternale davanti a tutti, non vorrei fartela neanche adesso, ma penso che sia meglio mettere alcune cose in chiaro."

La mia attenzione era completamente su di lei. Aveva rizzato la schiena, come faceva alle riunioni. Mi misi a mia volta più composto.

"Non hai amiche, vero?" mi chiese.

"Amiche?"

"Sì, amiche. Amiche, amichette, fidanzate, chiamale come vuoi."

Mi venne da ridere.

"Direi proprio di no."

"Perfetto. So che sei un bravo ragazzo e che non c'è bisogno di dirti queste cose, ma per tutta la durata del tour non puoi spassartela senza conoscere i tuoi limiti. Non ti puoi ubriacare, non puoi fare uso di droghe, nemmeno quelle leggere, e preferirei che tu non avessi relazioni di alcun tipo se non hai intenzioni serie. Non puoi portarti le ragazze in hotel e, se sei così temerario dal farlo lo stesso, assicurati di non mettere incinta nessuno. Se combini qualche casino sappi che la Gibbs fa prima a liberarsi di te che a difenderti, per cui goditi questo tour e non fare stupidaggini."

THE LOVING ONE (BTS FanFiction - Yoonmin)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora