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Avevo preparato il viaggio con i miei a Bologna per settimane. Ogni dettaglio e ogni fermata era prevista, avevo fissato almeno 6 appuntamenti diversi con le varie agenzie per visitare gli appartamenti dove avrei trascorso i miei anni di università magistrale e poi avevo preso i biglietti del treno: andata e ritorno per i miei e solo andata per me. Solo andata. Non che io non abbia mai vissuto da sola eh, anzi, ho passato i primi quattro anni di università a Roma perciò alla mia vita da sola mi ero già abituata, ma Bologna è sempre stato un po' il mio sogno. Quando l'ho visitata per la prima volta, nel 2017, me ne sono innamorata follemente e non credo che qualcuno avrebbe mai potuto togliermi dalla testa l'idea che quella città sapeva incredibilmente di casa, forse presto di casa mia.

In treno, fermi a Firenze, già sto fremendo per l'emozione, mia madre mi guarda con un sorriso dolce perché sa che ho sempre sperato di poter avere la possibilità di vivere in quella città. Tutto era stupendo, pensavo passando a rassegna tutte le cose che avevo visto la prima volta e tutte quelle che ancora avrei avuto da vedere. Volevo assolutamente visitare i famosi colli bolognesi, volevo riempirmi di tortellini, sedermi al Pratello e fissare la punta delle torri per un numero indefinito di secondi. La mia mente era così persa a vagare nei ricordi di quella città da non accorgersi che finalmente c'eravamo giunti sul serio. Scendendo dal treno inspirai profondamente, era decisamente l'aria che volevo. Essendo la prima settimana di Settembre non era affatto freddo, anzi, i jeans erano decisamente troppo caldi ma non me ne importava minimamente. Decidemmo di camminare fino al B&B, avevo insistito io nel camminare perché ero convinta che Bologna andasse vissuta a piedi. Sentita sotto le suole. Arrivati nella piccola pensione ci sistemammo e uscimmo per cena. Il resto della serata passò a fare progetti, mio padre era più emozionato di me e mi chiedeva in continuazione se fosse bella come ricordavo. La risposta era sempre la stessa: sì.

La giornata successiva fu sfiancante, visitammo tutti gli appartamenti di cui uno decisamente troppo umido, uno letteralmente senza finestre, uno un po' troppo costoso. Eravamo al quinto, erano le cinque del pomeriggio e l'agente immobiliare ci aspettava all'ingresso con un sorriso aperto e la valigetta tipica da agente immobiliare, si presentò come Susanna e stingendoci le mani ci avvertì del fatto che la persona che doveva vedere l'altra stanza era in ritardo, "credo abbia fatto tardi a lavoro", aggiunse cercando le chiavi nella tasca della valigetta. "Credevo che la stanza fosse stata già assegnata" dissi io un po' confusa e la signora spiegò che la ragazza che precedentemente aveva bloccato la stanza aveva disdetto all'ultimo e così era subentrato un nuovo acquirente, ci lasciò perciò intendere che si trattava di un ragazzo e poi, vedendoci un po' confusi aggiunse "Non ci sono problemi con la casa mista, vero?". In realtà non avevamo considerato l'idea di una casa mista, mia madre stava per dire esattamente le mie parole ma venimmo bloccate da un "Scusate il ritardo, ci ho messo un'eternità ad arrivare, i turisti mi occupavano i portici" detto velocemente ma con un sorriso colpevole da questo tipo che io effettivamente avevo già visto da qualche parte ma giuro che non mi sembrava probabile che fosse proprio lui. Lo fissai ancora un attimo leggermente confusa e gli occhi mi caddero su quel paio di Vans rosso acceso, alzai impercettibilmente le sopracciglia, non sembrava probabile eppure il tipo allungò la mano verso Susanna e disse:"Sono Cesare, mi avete detto oggi che la stanza è di nuovo libera!"

(e non) - Cesare CantelliWhere stories live. Discover now