Il colore del mare - III

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C'erano ragazze ovunque, bellissime, colte, vestite all'ultima moda, i capelli erano distese di grano ed ebano, il loro incedere un tintinnio sul ciottolato che le portava al palazzo dove, quella notte stessa, si ballava alla Festa dei Nomi Perduti.

La voce si disse che sembrava organizzata in suo onore perché chiunque volesse parteciparvi avrebbe dovuto dimenticare il proprio nome. Indossò la forma di un uomo fiero e vigoroso e, nel mirarlo, più di una giovinetta svenne tanto il cuore s'era messo a battere forte.

Ballò come non faceva da millenni e, attorno a lui, centinaia di donne esibivano le loro doti per catturare colui che sembrava un principe

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Ballò come non faceva da millenni e, attorno a lui, centinaia di donne esibivano le loro doti per catturare colui che sembrava un principe.

La prigionia aveva obnubilato la dimensione corporea e ora tutto gli sembrava nuovo e forte, il petto in cui rimbombava come cavità di conchiglia il respiro, il fluire del sangue nelle vene e la pelle che si scaldava al tocco soave di mani femminili. Eccitato dal turbinio di tulle e macramè, quasi si scordò il perché avesse preso una forma d'uomo.

La figlia del sindaco era la ragazza più bella mai esistita, ogni poeta ne cantava la morbidezza delle labbra di fragola e gli occhi scuri come la pupilla in cui annega ogni luce. Quando capì che per lo sconosciuto era uguale alle altre dame, la sua vanità si ribellò e desiderò ballare con lui per mostrargli quanto fosse perfetta. Ogni giro di valzer era una teoria di virtù e aneddoti che lo avvolgevano in spirali di miele e fiele.

«Dimmi il tuo nome» la pregò.

Nascosta da un ventaglio di piume di pavone, lo incatenò ai suoi occhi di pece.

«Io sono colei che vai cercando da millenni.»

«Se lo sei, pronuncia il mio.»

«Alla Festa dei Nomi Perduti? Non arriveremmo a domani.»

La speranza agitò il cuore dell'uomo, ma nessun sorriso gli piegò le labbra.

«Pronuncerai il mio e quello degli altri settantadue sulle sponde del Mare Nero?»

«Farò ogni cosa vorrai.»

Il primo raggio di sole intrappolò la voce in mare, una prigionia angosciante perché le onde avevano intinto le loro creste spumeggianti nell'illusione della libertà.

La figlia del sindaco giunse al galoppo sul suo stallone color ebano. Era talmente bella che le onde del mare persero la loro forza e il vento le fece turbinare i capelli scuri. Si guardò intorno, prese fiato e urlò un nome.
Non accadde nulla. La voce pensò che occorresse tempo perché la condanna millenaria avesse fine. 

«Pronuncia tutti i settantatré» disse alla salvatrice e la figlia del sindaco invase il silenzio con la menzogna e, quando la litania finì, stramazzò al suolo con la bocca ricolma di pece pastosa che la soffocò.

La voce ammutolì.

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Il labirinto dei nomi perduti - Fiabe dimenticateWhere stories live. Discover now