Prologo

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Le fiamme proiettavano ombre distorte sulle pareti della Voragine. Le voci degli spiriti si accavallavano in testa e si fondevano in un ammasso di grida e sibili.

Rachel chiuse gli occhi. I muscoli delle gambe bruciavano per la corsa, lampi di dolore attanagliavano il petto a ogni respiro.

No, i sibili non venivano dagli spiriti.

Erano i proiettili dei soldati di Vexhaben.

Tutto era iniziato dopo il tramonto e ancora non aveva acquistato un senso.

Avrebbe voluto tirarsi un pizzicotto e accertarsi che fosse un incubo, che Vexhaben non aveva attaccato davvero, che i racconti nelle lettere non erano diventati realtà anche per loro.

La presa di Vivian si allentò per poi farsi più stretta e quando riaprì gli occhi, la speranza che non fosse reale sparì in un attimo, accompagnata dal grido acuto echeggiò tra le pareti rocciose.

Una fiamma circondava la mano sollevata di Vivian e allungava le ombre sul suo volto; il riflesso faceva brillare d'arancio i suoi capelli. Dietro di lei, i lampi azzurri dell'ostril schizzavano verso l'alto senza alcun senso, come se anche loro volessero sfuggire a quell'attacco.

Il caldo e lo sforzo avevano prosciugato il palato: dischiuse le labbra e le inumidì con la lingua.

C'erano sempre state due direzioni nella Voragine: in basso, saltare nell'abisso che non avrebbe lasciato scampo, e in alto, rischiare di incrociare soldati che li avrebbero uccisi per la sola colpa di esistere.

L'intero bordo di uscita della Voragine era puntellato da torce, non c'era via di fuga tra gli spuntoni di roccia e sarebbe stata questione di attimi prima che qualche soldato comparisse su quello slargo.

«Dobbiamo fare qualcosa. Non può finire così.»

La fiamma sparì e Vivian le strinse entrambi i polsi nelle mani. La morte le circondava e non avevano scampo e più il tempo passava, più diventava chiaro il destino.

La sua voce era un sussurro in confronto all'eco delle grida e i rimbombi degli spari, ma da quando le aveva afferrato il braccio e se l'era trascinata dietro, Rachel non aveva avuto in mente una conclusione diversa. Il fuoco non bastava a fermare i soldati: si sarebbero appostati dietro le rocce e avrebbero aspettato. Avrebbero sparato, consapevoli che le fiamme non potevano niente contro i loro proiettili.

«Forse... forse dovremmo arrenderci.»

Vivian si allontanò di un passo. «Preferisco saltare.»

Uno sparo riecheggiò a poca distanza e Vivian si piegò su sé stessa; il suo sguardo saettò a destra. Rachel lo seguì.

Dal sentiero era arrivato un gruppo di soldati, le cui canne del fucile brillavano e apparivano infuocate.

«Fallo allora. Non farmi sprecare altri proiettili per feccia come te.»

Avrebbe voluto guardare la cugina, dirle che non avrebbe dovuto – che avrebbero trovato una soluzione quando i tempi sarebbero stati migliori e che da morta non avrebbe avuto vendetta.

Ma c'era qualcosa in quella donna che le teneva sottotiro che la costringeva a fissarla.

«Spero che arrivi presto il giorno in cui Vexhaben bruci» urlò Vivian.

Le lettere che lo zio era solite leggere a entrambe non avevano mai alimentato la speranza di poter vincere ed era sicura che quel che sperava la cugina non sarebbe mai successo, che loro avrebbero sempre avuto il vantaggio, sia in numero che in armi.

Si voltò e dietro il velo di lacrime, la figura di Vivian era sfuocata e le ricordava già le forme inconsistenti degli spiriti.

Sollevò appena un braccio quando si fermò sul bordo, una mano premuta contro il fianco ferito.

Bastò un passo all'indietro per farla sparire verso l'abisso.

"Vendic–"

La voce di Vivian che rimbombava nella testa sparì nel momento stesso in cui metallo freddo si strinse intorno ai polsi.

Per la prima volta da quando se n'erano andati si ritrovò a maledire i genitori per non averla portata con sé in quella nuova vita che erano andati a cercare.

*

Il caldo asfissiante della notte estiva fuori dalla Voragine aveva fatto dilatare il tempo al punto che Rachel non aveva idea di quanto ne fosse passato.

Non riusciva nemmeno più a sperare che fosse tutto un sogno.

Le avevano stretto due bracciali ai polsi e da allora aveva perso ogni contatto con gli spiriti. Aveva provato a usare la magia, richiamare altre fiamme a sé, ma aveva solo ottenuto fitte di dolore che l'avevano costretta a rotolarsi tra gli arbusti.

Non c'era un senso in quell'attacco: non avevano fatto nulla, non avevano mai pensato di attaccare Vexhaben.

Quando riuscì a riprendere fiato, si mise a sedere. L'erba secca sembrava sul punto di prendere fuoco.

«Cosa vuoi ottenere facendo così, feccia?»

Sollevò appena la testa: con le torce piantate tutt'intorno vedeva solo il riflesso del pugnale, in qualche punto tendente al verde.

«Pietà? Non c'è pietà per quelli come voi.»

Rachel serrò le labbra e mosse le braccia; i bracciali sfregavano contro la pelle e la facevano gemere dal dolore.

Il metallo freddo si appoggiò sotto il mento e costrinse Rachel ad alzare lo sguardo. Avrebbe dovuto seguire Vivian: a quel punto sarebbe stato tutto finito.

«È inutile che ti agiti, feccia. La tua magia non ha alcuna possibilità di vincere l'astalt.»

«Assassina.»

«Non sei la prima a dirmelo.»

Il pugnale si allontanò solo per essere sostituito dalla stretta di una mano.

«Tu non sai quanto voglio la tua testa infilzata su una picca come monito e vedere il tuo sangue che cola. Voglio sentirti implorare pietà con la tua misera voce, inginocchiata davanti a me, anche se tutte le tue preghiere non porteranno a niente se non a sofferenze maggiori.»

Rachel distolse lo sguardo, ma l'altra la costrinse a tornare aguardarla; da quella distanza non gli occhi assumevano riflessi arancioni. «Maper grazia di Idall, forse mi sarai utile.»

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