Capitolo XXXIII

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Katherine aggrottò la fronte: sulla scacchiera tra lei e Miriam la mescolanza di pezzi bianchi e neri era il risultato di una serie di mosse che si trascinava da più tempo di quanto le regole consentissero.

Non ricordava nemmeno il momento in cui avessero girato la clessidra per l'ultima volta, l'attenzione che si era persa ben presto tra chiacchiere, cioccolatini e una torta di mele, il cui odore era rimasto nell'aria e ogni minuto che le lancette segnava le faceva salire la voglia di prenderne un'altra fetta.

«Brutto bastardo» borbottò Miriam. Quando Katherine alzò la testa, stava staccando la zampa del gatto dalla manica della camicia.

«Non sembrava... così prima.»

«Oh, normale. Ogni persona che arriva in casa gli offre nuove occasioni di implorare cibo. Ma in realtà è solo un bastardo.»

Gli diede un bacio sulla testa e il gatto miagolò in protesta.

Quanto a opportunismo le ricordava Selah, ma doveva ammettere che quando si era infilato nel vaso del salotto aveva capito che condivideva l'intelligenza con Arthur, su quello Miriam non esagerava.

Reginald era solo una palla di pelo rosso che, a detta di Caroline, aveva già lasciato il segno della sua presenza in tutta la casa. Non ci aveva messo troppo a dar ragione alla contessa: appena Reginald si era strusciato contro i pantaloni, aveva lasciato una scia di peli sulla stoffa dei pantaloni.

Katherine si sporse in avanti e rimase con la mano a mezz'aria, ancora indecisa sulla mossa da fare.

«E comun–.» Miriam fu interrotta dal tintinnare metallico del medaglione sul pavimento.

Katherine sospirò, poi lo raccolse. Passò le dita sul bordo, dove solo un punto riportava un'indentazione.

Se lo rigirò tra le mani, alzando lo sguardo su Miriam. «Almeno non si è rotto alla festa e non l'ho perso nella folla.»

«Dubito che qualcuno rubi un medaglione dalla famiglia reale.»

«Mai dire mai» ribatté appoggiandolo sul tavolino accanto alla scacchiera. «L'oro è sempre oro. Che sia il mio medaglione o un bracciale qualsiasi.»

Avrebbe fatto riparare sia il cordone sia l'indentazione: per quanto regalassero un'aria di vissuto, non poteva permettere che ci fossero dettagli fuori posto. Almeno all'apparenza tutto doveva essere perfetto a corte.

Si accarezzò il mento, osservando la disposizione dei pezzi: tutte le mosse fatte fino a quel momento non avevano portato a nulla di buono per lei.

Miriam sembrava avere il vantaggio nella partita, pur avendo rivolto più attenzioni a Reginald che alla scacchiera.

«Stavi dicendo?» chiese Katherine, spostando un pezzo qualsiasi, certa della sconfitta, ma ormai importava vincere solo contro George.

«Oh, niente. Insomma, guardalo.» Miriam sollevò il gatto che si lasciò sfuggire un leggero miagolio prima di allungare le zampe. «È carino, anche se la sua unica preoccupazione nella vita è decidere dove dormire. Vorrei essere al suo posto.»

«Non dirlo a me...» mormorò Katherine. «Scambierei volentieri il suo dilemma per i problemi nella regione dell'Exval.»

«Mio fratello ha anche sentito voci che ho un fidanzato. Ora però dimmi come faccio a spiegare che Reginald è un gatto una volta per tutte.»

«Fai prima a sposare qualcuno di nome Reginald.» Katherine si appoggiò allo schienale. «Problema risolto alla radice. Le voci smettono quando diventano verità.»

Miriam fece una smorfia. «Non mi interessano gli uomini.»

«C'è qualcuno, oltre il gatto?»

«I dolcetti alla crema» rispose Miriam alzando le spalle e Katherine scoppiò a ridere.

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