Capitolo V

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Rachel sobbalzò per il rimbombo ritmico di metallo su metallo.

Si mise a sedere, stringendo le mani sulla coperta ruvida: nel buio dei seminterrati, riusciva a distinguere malamente le figure che avanzavano in mezzo ai letti. L'istinto di far nascere una fiamma era morto da anni.

Il polso sinistro era più indolenzito del solito, segno inequivocabile dell'averci dormito sopra. Mosse le dita, cercando di sgranchirlo. La pelle sotto il bracciale bruciava già, la magia che premeva per uscire. Non aveva preso parte ad altri scontri, non aveva avuto un modo per far fluire via la magia che premeva per fuoriuscire.

Sfiorò la coperta, certa che sarebbe stato un buon modo per iniziare un incendio anche lì.

L'ultima conversazione con Selah pesava ancora addosso: ormai era la quinta mattina che si svegliava con l'angoscia addosso per la festa di Gabes. Ormai era alle porte, con le celebrazioni fissate per il giorno successivo.

I colpi non smettevano e qualcuno già si lamentava.

Si stropicciò gli occhi, prima di chinarsi a tastare il pavimento per raccogliere gli stivali.

«In piedi» urlò all'improvviso una voce fin troppo conosciuta. Aprì gli occhi, mettendosi poi a sedere sul bordo del letto. Due soldati stavano accedendo le fiaccole alle pareti.

Strizzò gli occhi, cercando di abituarsi alla nuova luminosità. Ogni mattina era la stessa, terribile storia.

Nei primi tempi c'era sempre stato qualcuno che aveva provato a usare le fiamme contro i soldati, solo per finire sul pavimento, preda dei dolori dell'astalt. Le era bastato rimanere senza pasti per due giorni per decidere che era bene non provarci di nuovo.

Avrebbe voluto protestare, ma non sarebbe servito.

Qualcuno accanto a lei sbuffò. Altre coperte vennero smosse.

Piegò alla bene e meglio la sua e la sistemò ai piedi del letto. Indossò la giacca, ma prima di abbottonarla annusò il colletto: avrebbe dovuto chiederne una pulita per la festa, non poteva presentarsi con quella. Non aveva idea di tutto il protocollo che avrebbe dovuto seguire, ma almeno un minimo di decenza poteva permettersela.

Nel corridoio illuminato si stavano muovendo ombre distorte dai mattoni: non era sicura che fossero altri flammas ferentes, ma erano persone in più del normale.

Qualche accenno di conversazione era nato intorno a lei: chiunque avesse un garante aveva anche qualche piano per Gabes, ma da quello che aveva capito, solo pochi altri oltre a lei sarebbero stati alla festa a corte.

Raccolse i capelli alla bene e meglio senza uno specchio, ma rimase con le braccia alzate quando tutto il chiacchiericcio si fermò di colpo.

Stavano tutti fissando Selah in silenzio mentre avanzava nel dormitorio.

Non si mosse, ma era certa che fosse lì per lei.

Abbassò le braccia di colpo, con il nastrino di cuoio che penzolava tra le dita.

Voltò appena la testa, giusto in tempo per incrociare qualche sguardo: si era ritrovata di nuovo al centro dell'attenzione quando avrebbe voluto solo scomparire.

I soliti discorsi sul proprio conto sarebbero iniziati l'attimo successivo al mettere un piede fuori dalla porta. Le sarebbero arrivati solo pezzi di frasi, senza che nessuno avesse il coraggio di andare a dirle qualcosa in faccia.

Con la festa così vicina, avrebbero avuto modo di cambiare argomento. Se c'era qualcuno di invidioso, avrebbe fatto volentieri a cambio: avrebbe ceduto senza problemi l'invito con la firma del principe che aveva infilato in un'apertura del materasso, forse si era già perso in mezzo alla paglia. Dubitava che le sarebbe servito: bastava l'astalt ai polsi a garantire la propria identità.

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