Capitolo IX

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Rachel strinse i pugni. Non era nessuno e Gabes glielo ricordava.

Fissava davanti a sé, ma senza mettere a fuoco qualcosa; tutto si era confuso dietro un velo di lacrime. Essere a quella festa era un errore. Ancora aveva da capire cosa ci avrebbe guadagnato la corona se le uniche persone interessate a lei lo facevano per egoismo e c'era un mondo nascosto all'interno dei loro discorsi, di cui lei non ne avrebbe mai fatto parte.

Per quattro anni l'avevano vestita con una divisa simile a quella dei soldati, ma erano momenti del genere a portare alla luce l'abisso che c'era con gli altri presenti.

L'insistenza di Selah non aveva senso, a nessuno interessava di lei o degli altri.

Abbassò lo sguardo.

Avrebbe solo voluto nascondersi, sparire da quella sala, tornare alla Voragine. A casa. Senza l'astalt.

Avrebbe sopportato di essere da sola con gli spiriti e accettato qualsiasi cosa pur di non dover più vedere le rose bianche della festa dei Wilmer-Herring.

Avrebbe dovuto scusarsi con la principessa per il suo comportamento, ma non per aver rifiutato: era bene non sfidare Selah, una decisione del genere le avrebbe solo strappato via la vita.

Si appoggiò al muro e incrociò le braccia. Quella festa doveva finire e avrebbe preso la questione in mano se non avesse avuto l'astalt ai polsi. Sarebbe stato il momento buono per dare ragione a Vivian, ma vedere i simboli del regno bruciare nel mezzo della festa.

Nessuno la guardava, ma cercò di abbassare le maniche della giacca, lunghe quanto bastava a lasciare scoperti i polsi, i bracciali di astalt e le cicatrici che si era fatta nel cercare di usare la magia.

Da quando aveva visto Selah scendere le scale, non c'era stato bicchiere che fosse stato in grado di scacciare il ricordo della Notte dei Morti o il rimorso di non poter piangere come avrebbe voluto chi aveva perso quella notte. Anche il solo sentire Vivian ancora accanto avrebbe regalato un minimo di sollievo.

«Posso offrirti un bicchiere di vino?»

Rachel alzò lo sguardo dal pavimento, richiamata sia dalla voce sconosciuta sia dall'ombra che si era fermata davanti a lei.

A giudicare dall'uniforme, doveva essere un burattino inviato da Selah per controllarla. La falena dorata brillava sotto il colletto azzurro, tre medaglie di cui ignorava il significato erano appuntate al petto. A guardarlo da quella distanza aveva una cicatrice sulla guancia, un punto in cui la barba scura lasciava uno spazio vuoto.

«Credo... credo abbiate sbagliato persona.»

Si guardò intorno, ma vicino a lei non c'era nessuno, era da sola. Non poteva essere lì per lei. Nessuno era abbastanza disperato da avvicinarsi di propria volontà.

«Io non penso» rispose lui. Si portò la mano sinistra sul petto e sorrise. Rachel si irrigidì: non prometteva nulla di buono.

«Avete la... minima idea di chi sia?»

Bastava uno sguardo per capirlo. La fascia sul braccio era abbastanza per dare idea anche a chiunque della propria identità.

«Oh, solo uno stupido non ne avrebbe idea.»

«Devo cambiare domanda: c'è qualcosa che desiderate da me?»

Forse sarebbe dovuta rimanere sulla terrazza, nascosta dalla vista.

«Compagnia.» Il sorriso che le rivolse la fece rabbrividire.

Avrebbe voluto rispondergli che i loro interessi non convergevano, che lei avrebbe solo voluto andare via.

RequiemWhere stories live. Discover now