Capitolo II

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Solo il rumore del ventaglio di Selah spezzava il silenzio.

L'afa di Vexhaben non lasciava stare nemmeno le stanze del palazzo: l'aria pesante e insopportabile della stagione estiva non era vinta nemmeno dal ventaglio e la polvere dell'arena sembrava essersi attaccata addosso.

I quadri appesi alle pareti, dipinti con i paesaggi invernali, stonavano con le temperature di quei giorni come se si beffassero di loro. La stagione estiva era quella che più le faceva rimpiangere di aver lasciato Frinard per seguire la carriera militare e l'obbiettivo di prendersi la vendetta per Frinard e dare alle fiamme Crohull, la capitale del regno di Ethor.

Inspirò a fondo e l'aria umida della stanza le riempì le narici. L'avrebbe sopportata, come ogni anno, era solo un inconveniente.

Le cornici dorate lasciavano visibile solo una minima parte della carta da parati color crema con motivi geometrici non aiutavano, insieme al silenzio aumentavano l'oppressione.

Selah fermò il ventaglio e si voltò verso George, ancora intento a guardare fuori dalla finestra, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni.

Da giorni sembrava che non potessero avere un attimo di pace e quasi le dispiaceva rovinare quell'attimo di calma nel mezzo dei preparativi del matrimonio e dell'incoronazione, ma avevano più di una cosa di cui discutere e quel silenzio era solo una perdita di tempo: nei mesi successivi oltre al tempo sarebbe cambiato anche il destino del regno.

«Invitare quella feccia a Gabes è un errore» gli disse. «Puoi finalmente ammettere che è una pessima idea? Che serve solo a rovinare la serata a tutti?»

«Nasconderli non gioverà sul lungo periodo: non puoi trattarli come se fossero un proble–.»

«La magia è un problema» lo interruppe.

George non l'avrebbe mai capito davvero: lui non aveva mai visto di persona cosa era in grado di fare quella feccia, non era a Frinard quando l'esercito di Ethor aveva attaccato e dato alle fiamme la città, non era stato sul campo mentre cercavano di prenderla sotto controllo.

Era parte della nobiltà che non aveva fatto abbastanza né per Frinard, né per evitare che si diffondesse per tutto il regno. Avere i flammas ferentes era solo una soluzione temporanea perché avrebbero aspettato in silenzio, pronti a ribellarsi.

Finiva sempre così con gli schiavi, ripeteva sempre il padre, toglierli di mezzo avrebbe assicurato una pace più lunga a tutto il regno.

Selah appoggiò il ventaglio sul divanetto, si alzò e lo raggiunse. Gli spostò una ciocca di capelli neri dalla fronte e gli accarezzò una guancia.

«Ma ho anche ordini da rispettare. Tuo padre ha voluto creare i flammas ferentes, io rispetterò la sua volontà. E pensi che non saprò gestirli contro Ethor? Non ti fidi di me a capo dell'esercito?»

«Penso solo alla politica.» George le strinse una mano nelle proprie. «E la mossa giusta è averli a Gabes. Ne abbiamo già discusso l'anno scorso, pensavo che la questione fosse chiusa.»

«Si può sempre fare un tentativo.»

Selah sorrise appena.

Non voleva altro che la festa tornasse a essere la stessa di sempre: senza feccia, senza problemi, solo l'ennesima notte che la corte avrebbe passato nel vino.

«Volevo evitare che la corte parlasse per mesi. Sei così invidioso di tua sorella?»

«La questione del matrimonio di Katherine è ben diversa e ormai è chiusa. Meglio così, forse.»

Scosse appena la testa: sua sorella era l'unico elemento che la preoccupava. Non sarebbe stata la prima volta che avrebbe sfruttato un argomento come capriccio personale.

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