Capitolo III

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Non avrebbe chiesto a George altro che lasciarla in pace.

Lui e le sue idee strane che non avevano alcun senso. Doveva aver bevuto troppo per tirare fuori una decisione del genere, non poteva dire sul serio.

Katherine svoltò subito a sinistra. Lanciò uno sguardo verso il giardino: le ombre che si allungavano tra gli alberi del frutteto erano troppe. Se avessero continuato a discutere là, avrebbero avuto troppo pubblico.

Ignorò gli sguardi dei servi: era una fortuna che non ci fossero altri nobili in quel corridoio, le voci sul loro ennesimo scontro verbale si sarebbero allargate più lentamente. Avrebbe preferito domande sul perché fosse con Arthur, da sola, visto che Miriam una volta che si perdeva nei libri era poco più che un soprammobile.

George le ricordava l'afa: le si era appiccicato addosso e non avrebbe trovato il modo per toglierselo davvero di torno, ma non era il tempo che prima o poi sarebbe cambiato. Se si era messo in testa quella cosa, non aveva speranze che la situazione cambiasse prima di una sua risposta affermativa. Un che non avrebbe dato per principio, perché lui doveva scherzare, perché sicuramente era l'ennesima trovata di Selah per darle fastidio.

«Andiamo, Katherine. Aspetta un attimo.»

«No» gli rispose prima di aumentare il passo. «Non ho intenzione di aiutarti.»

Avrebbe potuto trovare senza problemi qualcun altro, magari anche più qualificato di lei. O per una volta gli sfuggiva il fatto che erano anni che nessuno la voleva in politica?

«Non ti sto chiedendo aiuto, infatti questo è un ordine. La decisione è già stata finalizzata da nostro padre, non c'è niente che puoi fare.»

Katherine si fermò e scoppiò a ridere. Si portò una mano sulla pancia quando lo stomaco iniziò a fare male. Quando si voltò, George non sorrideva, ma la guardava con la fronte aggrottata e le braccia incrociate. Il medaglione sul petto brillava sotto gli ultimi raggi della Vol al tramonto, così come i bottoni sul polsino della camicia.

«Certo, certo. Da quando l'alleanza con il regno di Dotha è saltata, nessuno mi vuole in politica. Cos'è cambiato?»

Aveva smesso di provare di tornare ad avere un ruolo importante nel regno perché era chiaro che non la volessero: bastava far saltare un trattato per essere bollati come inaffidabili.

«Me ne occuperei io, ma ho altri impegni.»

«Oh, immagino che il sarto ti occupi buona parte delle giornate.»

«Katherine.»

«Che c'è? Se continua a lamentarsi con me per nuove misurazioni, non oso pensare con voi. Fortuna che ti sposi solo una volta.»

Era solo un peccato che la donna a cui si sarebbe legato fosse Selah.

George inclinò appena la testa, ma non le diede la soddisfazione di darle ragione. «Non divagare.»

«La questione è che ho passato anni a sentirmi dire che non sono adatta alla politica, che è stata solo colpa mia se Ethor ha guadagnato un alleato.»

«Perché è così.»

Katherine strinse i pugni: possibile che non si rendesse conto di quello che le stava chiedendo di fare?

«I tuoi commenti non mi aiutano certo a cambiare idea sul voler aiutarti.»

«Dovresti limitarti a fare quello che ti viene ordinato, ho più autorità di te.»

Katherine serrò le labbra. Avrebbe voluto dirgli che non contava niente per lei. Aveva smesso di farlo quando si era schierato con tutti gli altri. «Il mio punto è che un giorno ti svegli e pensi che vada bene cambiare di colpo tutto.»

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