Capitolo XXXI

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Era strano percorrere i corridoi dell'accademia: alle volte erano pieni di gente, il chiacchiericcio riempieva l'aria e qualcuno correva e tirava spallate, senza fermarsi a chiedere scusa. Altre volte, come quella, erano vuoti e i passi echeggiavano tra le pareti. Da un lato le porte delle aule, tutte chiuse alla fine della giornata, e dall'altro le finestre, che si alternavano a false colonne.

Il cielo sopra la capitale si andava a tingere di rosso: gli ultimi raggi del giorno si riflettevano sulle grondaie in rame, facendole apparire infuocate. Così come i binari sul viale che sparivano in una curva dietro l'edificio dell'accademia militare, con le finestre rettangolari e tutte a poca distanza l'una dall'altra; sul letto le bandiere erano afflosciate in pieghe rosse.

Di fronte a lei si allargava il viale, percorso da qualche carrozza e persone a piedi, per lo più in divisa. Avrebbe dovuto chiedere a Nicholas o Arthur come riuscissero a fare un nodo decente al fazzoletto: finché nessuno avesse detto qualcosa avrebbe continuato a portarlo legato alla tracolla della borsa.

Era sicura che nessuno se ne sarebbe lamentato: aveva visto alcuni portarlo al braccio, in una tasca, legato tra i capelli, come se la rigidezza dell'esercito non si applicasse ai loro corridoi. Nicholas aveva espresso più volte l'invidia nei suoi confronti di non doversi preoccupare per note di demerito per un pezzo di stoffa colorato.

Si avvicinò a una finestra, dando un'occhiata in basso: la fermata della corriera era vuota.

Si voltò verso sinistra: del mezzo non c'era traccia. Non si era nemmeno portata dietro l'orologio quella mattina, era rimasto sulla mensola come preda inerme tra le zampe di Reginald.

Inspirò a fondo, poi riprese a camminare, decisa a prendere la corriera successiva.

Non aveva alcuna voglia di rimanere in città per la notte: ancora non conosceva a fondo il quartiere e per quanto fosse centrale non aveva voglia di seguire i binari fino alla fermata vicino alla piazza principale per tornare a casa o di vagare per i vicoli convinta di avere una scorciatoia.

La giornata di lezioni l'aveva sfinita, non vedeva l'ora di cenare e infilarsi sotto la coperta, con il gatto rannicchiato accanto a farle le fusa.

Spostò una pagina dal blocco degli appunti: era il diciassettesimo giorno dell'ottavo mese e le lezioni erano iniziate solo nove giorni prima.

E tutti ripetevano che ancora non era niente.

Si passò una mano sulla faccia.

Tutto sembrava solo un sogno, ma forse doveva considerarlo un incubo. Se non altro il periodo di esami era così lontano da potersi illudere non esistesse nemmeno – se solo le parole di Selah non pesassero ancora addosso. Non si era mai degnata di spiegarle in cosa consistesse il lavoro, forse doveva scoprirlo da sola.

Aver passato l'esame di ammissione significava poter aiutare davvero la famiglia. Alla fine contava quello.

Avrebbe voluto che il nonno fosse lì, non in una tomba a Jelas: ne sarebbe stato felice, almeno all'apparenza, per tenere nascosto il segreto. Da quel che le avevano spiegato, quello era il motivo dei debiti. Uno che non potevano nemmeno spiegare fino in fondo a Katherine. La scusa era caduta sui lavori di ricostruzione dopo una valanga. E nessuno batteva ciglio.

Miriam sistemò meglio i libri contro il petto, poi accelerò il passo. Rimuginare sul passato e un ipotetico presente non le avrebbe certo fatto prendere la corriera.

Ce n'erano solo due a quell'ora e fosse mai che la prima, per qualche disgrazia, fosse già passata.

La fermata era vuota, da una parte era certa di averla persa, ma non aveva sentito il tipico sferragliare, dall'altra era tranquilla..

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