III. Halloween

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Dopo quella prima uscita al Sunshine City, ce ne furono altre nelle settimane successive. Ogni martedì infatti, poco prima della fine delle attività del mio club, Ran si presentava in classe e veniva a "prelevarmi".

Le prime volte si fece ancora accompagnare da suo fratello, ma dopo poco iniziò a presentarsi da solo alla porta della mia aula. Da una parte mi dispiacque, perché era segno evidente dell'antipatia che Rindou provava nei miei confronti, ma dall'altra non ne potei essere più felice: le poche volte che Ran si allontanava e mi lasciava sola in balia del biondo, era un continuo susseguirsi di sguardi assassini, commenti taglienti e tacito disprezzo.

Ormai anche le mie amiche, quando lo vedevano mettere piede in classe, non rimanevano troppo sulla difensiva. Certo, non parlavano o condividevano molto con lui, ma si erano abituate alle sue comparse settimanali e, per lo meno, si rivolgevano il saluto.

Una volta siamo andati al parco di Ueno a passeggiare, un'altra abbiamo passato il pomeriggio in sala giochi, un'altra ancora siamo andati ad un luna park non troppo lontano dalla mia scuola.

Tutto sommato, questa nuova routine era divertente: ogni martedì era diverso dagli altri e la presenza di Ran nella mia vita era piacevole, nonostante io fossi spesso titubante, visto che non sapevo ancora se potessi definirlo "amico". D'altronde, ci stavamo ancora conoscendo, costruendo il nostro rapporto pezzo per pezzo, dedicandoci l'uno all'altra un pomeriggio a settimana, quindi ho sempre preferito restare cauta nel dare un giudizio a proposito.

Uno dei miei momenti preferiti, per quanto possa sembrare strano dirlo, era il rientro a casa.
Non fraintendetemi, non perché avrebbe segnato la fine della nostra uscita, ma perché, ogni volta che scendevo dalla sua moto e gli restituivo il casco, quando sfiorava la mia mano con le sue dita sottili e mi diceva "Ci vediamo settimana prossima", i suoi occhi brillavano.

Era un guizzo appena percettibile, talmente rapido da essere difficile da cogliere, ma non per un'inguaribile romantica come me, che avevo visto quello stesso guardo dipinto su molti quadri o scolpito in tante statue marmoree. Anzi, prendiamone una sotto mano, per capirci meglio.

Amore e Psiche di Andrea Canova, grande artista italiano neoclassico, il "Nuovo Fidia" per gli studiosi dell'arte. Non mi soffermerò sul mito alla base di questo capolavoro, ossia la storia d'amore tra il dio figlio di Venere e quella che era ritenuta la più bella tra i mortali, perché le circostanze tra me e Ran erano totalmente diverse (Amore, come avrebbe mai potuto essere quello tra noi, allora?), ma sulla statua in sé.
Come le persone che mi conoscono sapranno, io credo che l'arte abbia uno dei più grandi poteri di questo mondo: conferire eternità all'anima di un artista e rendere immortali i sentimenti umani nella loro più splendida manifestazione. Ecco, nella statua del Canova gli sguardi dei protagonisti si contemplano l'un l'altro con una dolcezza di pari intensità e Ran mi guardava così. O almeno, a me piaceva pensarla in questo modo.

Abbandonando questa retorica, forse strana e quasi folle di primo acchito, vi basti sapere che la conferma di un prossimo pomeriggio insieme, della sua presenza nella mia vita seppur per brevi frangenti, rientrava tra quelle piccole, speciali cose della vita che vanno custodite con cura.

Questo equilibrio che avevamo raggiunto si incrinò nell'ultima settimana del mese di ottobre: quel martedì Ran non si presentò, con mio sommo dispiacere. Non potevo certo lamentarmi del fatto che non mi avesse avvisata, perché ancora non ci eravamo scambiati i rispettivi numeri di telefono: io sapevo che lui sarebbe venuto ogni settimana, interrompendo l'attività del mio club a venti minuti dalla fine.

Rimasi un po' amareggiata quel pomeriggio e tornai a casa mia a piedi. Era quello che avevo sempre fatto negli ultimi dieci anni di scuola, eppure mi parve qualcosa di assolutamente estraneo alla mia routine.

Snuff (Ran Haitani FF)Where stories live. Discover now