XI. Vergogna

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Non riuscii a dormire quella notte, né quella seguente: appena chiudevo gli occhi vedevo quella scena cruenta proiettarsi davanti a me e potevo sentire ancora le urla di quel malcapitato mentre le sue ossa venivano fratturate dal Ran.

In quelle ore buie, quando il sonno non si apprestava ad arrivare, mi chiedevo perché non mi fossi accorta prima di chi fosse davvero il ragazzo che avevo accanto e se questa mia "cecità" fosse dovuta all'immagine che mi ero costruita di lui. In effetti, tornando indietro con la mente al nostro primo incontro, c'è stato un momento della nostra chiacchierata in cui aveva fatto intuire di non essere una brava persona, ma questo dettaglio era diventato via via sempre più irrilevante. Non volevo e non potevo accettare che Ran fosse così, che fosse un delinquente capace di uccidere qualcuno senza alcuno scrupolo e di trarre addirittura godimento da ciò, dopo tutto quello che avevamo passato insieme.

Non volevo rassegnarmi all'idea che il ragazzo che amavo e con cui avevo condiviso forse i momenti più importanti della mia vita fosse tutt'altro rispetto a come lo avessi sempre visto. Tuttavia, non potevo cancellare dalla mia memoria la visione di quel sangue schizzato sul volto pallido del giovane Haitani né, tanto meno, quell'aria soddisfatta e divertita dall'atrocità appena commessa.

Credevo che il giorno dopo l'accaduto Ran si sarebbe presentato nuovamente alla mia porta di casa cercando di aggiustare ogni cosa, ma con mia grande sorpresa ciò non accadde. Ammetto che fui sollevata, dal momento che non avevo ancora la mente sufficientemente lucida per poter reggere un incontro faccia a faccia con lui, e mi misi il cuore in pace pensando che dopo quel piccolo momento di difficoltà ogni cosa sarebbe migliorata e ben presto la mia vita avrebbe ripreso il suo solito corso, come se quei mesi insieme al ragazzo non ci fossero mai stati.

In realtà, non fu così e capii ben presto che non avrei potuto continuare a vivere la mia vita come se niente fosse. La situazione iniziò a prendere una brutta piega già due giorni dopo, il 23 febbraio 2006, quando mi alzai per fare colazione con i miei genitori. Sembrava una mattinata come tante, con mio padre che leggeva il giornale e mia madre che mi preparava il bentō per pranzo, quando il primo decise di accendere la tv per sentire le ultime notizie del giorno.

Fu lì che lo vidi e lo sentii: in seguito ad uno scontro tra due gruppi di giovani delinquenti, un ragazzo di 18 anni aveva perso la vita al molo di Yokohama a causa di colpi di arma da fuoco e cinque ragazzi erano stati arrestati. Trattenni il fiato quando vidi campeggiare il volto di Ran, sul quale era dipinta un'espressione quasi rassegnata, e rimasi impassibile quando mio padre, dopo aver sentito il report della giornalista che si trovava sul luogo della vicenda, si voltò guardandomi torvo.

Spense l'apparecchio elettronico prima che il programma di informazione potesse fornire ulteriori news e già sapevo dove saremmo andati a finire.

-Reiko.- esordì mio papà, mentre mia madre osservava la scena senza intervenire.

Non risposi, tenendo gli occhi bassi per paura di incontrare il suo sguardo di disapprovazione e di rimprovero e sperando che, di fronte al mio silenzio, decidesse di non proseguire ulteriormente con quella conversazione.

-Reiko, guardami mentre ti parlo!-

Alzai il capo nella sua direzione, scorgendo nel suo volto ciò che mai avrei voluto vedere: delusione, sfiducia e amarezza. Decisi comunque di non abbandonare il mio silenzio selettivo, pronta a subire la più grande lavata di capo che avrei mai ricevuto in vita mia.

-È lui il ragazzo che hai portato a casa nostra qualche settimana fa?-

Annuii lievemente, ma tanto bastò perché mio padre ottenesse la risposta che voleva.

-È stato arrestato, come avrai appena sentito.- disse il mio interlocutore per poi alzarsi e mettersi in piedi accanto a me -Non avrei mai pensato che mia figlia potesse accompagnarsi a gente simile.-

Snuff (Ran Haitani FF)Where stories live. Discover now