Capitolo 23

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Dayana entrò in sala e andò a sedersi sul divano, accavallò le gambe e la camicetta le scoprì la scollatura. Sì passò una mano tra i capelli, per togliersi i ciuffi castani dal volto.
Elizabeth la guardò male, strinse le labbra tra loro infastidita dal suo aspetto elegante e dalla sua presenza.
«Che c'è?» le sbottò contro. Le leggeva il giudizio nello sguardo, scintillava come oro divino nei suoi occhi ambra, a stento poteva sopportarlo.
«Stavi cercando dell'alcool?» innarcó un sopracciglio e Jade sentì tuonare, come se raggi d'oro si fossero posati su di lei cogliendola in flagrante, giudicandola dall'alto dei cieli.
«E quindi? Posso bere in casa mia? Non so, ti devo chiedere il permesso, mamma?» cercò di trattenersi dal mandarla a fanculo nell'immediato. Provava con tutta se stessa a placare la propria emotività, stringeva le parole tra i denti, ma loro correvano fuori strappandosi ai margini, dando lo stesso messaggio ma mutilato nelle frasi e nei suoni.

La donna spostò lo sguardo colpevole,  si guardò le braccia e poi le mani; come sempre non la capiva. L'omino di inchiostro accovacciato sul suo avambraccio la calmò facendola sentire meno sola. Era il primo tatuaggio che si era fatta da giovane.
«Mi spieghi che ti prende? Abbiamo appena concordato che ti avrei aiutata con tutto questo…
Come ti senti? Cosa stai pensando? Come mai questa reazione?» tentò un approccio meno accusatorio. Sapeva di esagerare con Elizabeth, a volte si rendeva conto di comportarsi più come una madre che come un'amica, ma aveva sempre pensato fosse per l'età e la confidenza.

«Cazzo, ma cos'è un interrogatorio? La finisci di provare a psicanalizzarmi? Non sei la mia cazzo di psicologa. Ma sai rapportarti come le persone normali?» esplose sentendosi soffocare.
Dayana la guardò con una smorfia incredula. Aveva tanta voglia di menarla da mettere alla prova la propria pazienza.
Si indicò il petto esasperata e scosse la testa.
«Ma starai scherzando! Da che pulpito scusa? Io sarò una gran rompicoglioni, ma non penso tu abbia idea di come si rapportino le persone normali.» 
West stava cercando le crudeltà giuste con cui rispondere quando Dayana la precedette.
«No, no. Basta. Sta succedendo di nuovo. Io non volevo e non voglio litigare. Non so come finiamo sempre in dinamiche tossiche, ma non ho davvero intenzione di assecondare questa cosa. Volevo solo sapere come farai ora con la tua alunna. Solo questo. Nient'altro. Guarda mi rimangio qualsiasi cosa ti abbia ferita o fatta arrabbiare.»

Elizabeth non resistette dall'avere l'ultima parola.
«Beh, non sarò normale, ma almeno io non sacrifico tutta la mia vita al solo lavoro e dovere. Almeno io ricordo ancora come si parla alle persone fuori da una seduta terapeutica.»
Dayana si morse la lingua per non risponderle e fare la persona matura, dato che almeno una di loro due doveva, ma le sue parole la punzecchiarono fastidiosamente.
«Sí, va bene. Hai ragione, quello che ti pare. Sono ossessionata dal mio lavoro e  esageratamente analitica. Wow, in quarant'anni di vita non me ne ero mai accorta. Grazie per avermi illuminata con il tuo genio irraggiungibile. Ci lavorerò con la mia terapeuta. Ora che sei felice, possiamo parlare della tua alunna che è tornata oggi a scuola? Possiamo parlare del fatto che è una situazione pessima, da gestire coi guanti? O è più importante litigare?» la riportò alla realtà.

Finalmente West si ammutolì sbiancando. Di nuovo l'ansia si arrampicò al suo collo. In silenzio prese a camminare avanti e indietro a braccetto con le proprie preoccupazioni.
«Non lo so. Non ho assolutamente idea di che cazzo devo fare o di cosa sto facendo.»
Day fece un sospiro sollevato.
'Miracolo, finalmente è seria.' pensò distendendo le gambe.
«Ha parlato a qualcuno di quel che hai fatto?» aveva il cuore in gola a fare quella domanda. Sì immaginó West dietro le sbarre e ne ebbe sia pena che gratificazione. Infondo se lo meritava. Forse se ci avesse pensato troppo sarebbe stata in grado lei stessa di sporgere denuncia, se solo avesse avuto più informazioni e creduto ciecamente nella giustizia e rieducazione carceraria.

«No… Ha perso la memoria. Credo sia una fuga dissociativa legata al trauma. Non ricorda le ore prima e cosa l'ha spinta a…» deglutì.
«Insomma non sa che è colpa…»
Di chi era la colpa? Sua o di Erika?
«Tua?» finì la frase per lei dandole fastidio.
«Crede sia stato il bullismo. Tutti credono sia stato il bullismo. Anche perché io ho parlato del bullismo… di cui era vittima. Non l'ho inventato.» si giustificò con quel poco che aveva.
«Eh, ci mancherebbe…» la mulatta si coprì il volto con la mano. Sapeva che avrebbe dovuto essere clemente, ma più pezzi di quella storia scopriva, meno pietà le rimaneva per la sua Liz.
«Quindi non solo ti sei approfittata di un'alunna, ma hai scelto pure la vittima di bullismo della classe?» chiese incredula. Era una domanda retorica. Jade bruciò di rabbia e senso di colpa, le sue guance bianche si colorirono. Inghiottì l'amaro, sapeva di meritarlo.

Dangerous Teacher II OssessioneDonde viven las historias. Descúbrelo ahora