Capitolo 30

1.3K 79 27
                                    

Katherine si alzò in piedi quando una signora di mezza età pronunciò il suo nome. Aveva un sorriso gentile e rassicurante, i capelli castani mossi fino alle spalle. Assomigliava a una madre, una di quelle premurose e calorose che gli altri avevano e che lei non aveva mai avuto. Notò la fede al dito e immaginò che fosse davvero madre. Katherine si accomodò sulla sedia dello studio, che seppur asettico e piccolo, era confortevole. Due finestre permettevano alla luce di penetrare, anche se sul davanzale c'erano delle piante probabilmente finte.

«Buongiorno Katherine, giusto?» Kat annuì rimanendo silenziosa, osservando l'ambiente circostante.
«Io sono la dottoressa Paola Niboldri», si presentò, spiegandole successivamente il processo della terapia e tutto ciò che era incluso nel contratto tra paziente e psicologo che doveva firmare. Quando finirono le formalità, Valentine si irrigidì sulla sedia.
«Allora, come sta?», la guardò negli occhi mentre Kat vagava con lo sguardo. A prima vista, le piaceva: sembrava davvero interessata a lei, le sue maniere erano delicate e autentiche.
«Ecco... in realtà non provo nulla», ammise.
«Da quando ho tentato il suicidio, non provo più molto...», affermò come se stesse parlando del più e del meno. L'espressione sul volto della sua psicologa si fece seria e due lievi solchi tra le sopracciglia mostrarono il suo dispiacere. Non erano eccessivi, non erano preoccupati e non la guardavano con orrore; erano dosati e sinceri, facendola sentire ascoltata.

«Come ti fa sentire il fatto di non provare più molte emozioni rispetto a prima?», le chiese gentilmente. Valentine apprezzò quella domanda, era una domanda che non la lasciava sola, che affrontava il problema insieme a lei, senza trattarlo con orrore o superficialità.
«Mi fa sentire... o meglio, non mi fa sentire, perché non provo nulla. Ma mi fa pensare, mi fa percepire le emozioni mentalmente... non so se ha senso», la terapeuta abbozzò un sorriso e annuì rassicurandola.
«A volte mi fa sentire spaventata, penso che... ho perso me stessa. Mi fa sentire claustrofobica, come se avessi perso per sempre qualcosa, come se non si potesse tornare indietro. Ho paura di non tornare mai più come prima, di rimanere per sempre nel vuoto assoluto. Ho paura che diventi soffocante... Altre volte penso solo di essere difettosa, e altre ancora penso che non mi importi, che sia meglio così perché prima ero solo debole», mentre pronunciava quelle parole ad alta voce, Kat sentì un brivido attraversarla, ma non capì perché.

Lo sguardo della donna la sostenne con attenzione, ma Valentine lo distolse, arrossendo. Si sentì vista e ascoltata da un adulto come mai le era successo prima.
«La tua paura è comprensibile», disse la psicologa.
«Possiamo darci del tu? Per favore», chiese pacatamente, sentendo la futilità di quelle formalità.
«Certo, se preferisci».

«Grazie. Sì, ho paura di essere rotta. È così, vero? Ho rovinato il mio cervello. Non ricordo nemmeno il perché. Non sono più me stessa. La vera Katherine non avrebbe mai avuto il coraggio di dirti tutto questo, probabilmente non avrebbe nemmeno aperto bocca per tutta la seduta. E invece ora sono qui e penso: a che importa? Tanto non provo nulla, che rischio corro? Sto parlando del mio tentato suicidio a una sconosciuta, senza offesa, e non mi tocca minimamente», parlare liberamente stava diventando piacevole, si sentiva ascoltata.

«Nessuna offesa, hai ragione, per ora sono una sconosciuta, ma lascia che ti rassicuri: il mio compito non è giudicarti, ma comprenderti e sostenerti. Sono qui per aiutarti a stare meglio», le sorrise.
«Allora dici che mi sono rovinata il cervello? Rimarrò così? Cosa devo fare?», chiese, affamata di risposte.

«Non posso dirti cosa fare, perché purtroppo non è così semplice, ma posso assicurarti che non sei difettosa. Abbi fiducia nel tuo cervello, so che suona strano...», il suo sorriso era una melodia calma e dolce.
«Ma il tuo cervello sta solo cercando di proteggerti. Questa apatia che provi ora, non è perché sei difettosa, è perché sei sana. Ci sono tante emozioni che il tuo inconscio cerca di elaborare e probabilmente se tu avessi la sensibilità per percepirle tutte, al momento sarebbero troppo intense», la terapeuta notando l'attenzione con cui la ragazzina la ascoltava desiderosa di spiegazioni, continuò.

Dangerous Teacher II OssessioneWhere stories live. Discover now