Capitolo 32

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Jade si stropicciò gli occhi, la testa le doleva ma ormai ci aveva fatto l'abitudine. Si dannó per tutte le volte che era andata a comprare l'alcol proprio dopo che il suo buon senso lo aveva buttato via. Solo le mattine quando si svegliava con la nausea e un sapore terribile in bocca, solo allora il suo raziocinio si faceva sentire con aspri giudizi, severi quanto il bruciore allo stomaco o l'emicrania devastante che le faceva strizzare le palpebre di fronte a qualsiasi luce. Spaesata dal giorno che si intrufolava in casa dalle sue ampie finestre, si trovò riversa sul proprio letto. Intorno a lei il caos. Le coperte erano completamente per terra e lei era ancora vestita con il vestito della sera prima. Una bottiglia di vino riposava sul suo tappeto insieme al suo contenuto.
Grugnì coprendosi il volto con il braccio, con la mano libera tastò il materasso intorno a sé in cerca del suo cellulare. Stranamente lo vide sul comodino e si allungò per afferrarlo.
Quando notò la notifica della chiamata persa di Dayana un sorriso spontaneo le tirò il viso, poi le venne ansia; non è che l'aveva chiamata da ubriaca? Non è che le aveva scritto qualcosa? Non si ricordava molto della sera prima, ma ricordava il pomeriggio in cui Violet l'aveva fatta alterare.

Si sforzó di aprire gli occhi e abbassò la luminosità del telefono, solo in quel momento vide il messaggio della segreteria telefonica e non aspettò prima di ascoltarlo.
Sorrise nel sentire l'insicurezza di Dayana e tirò un sospiro di sollievo nel capire che non l'aveva chiamata o simili, quindi si godette le sue meritate scuse e a quel punto provò ancora più rabbia a ricordare come era stata trattata. Non l'avrebbe perdonata così in fretta.
Era stata estremamente maleducata, l'aveva rifiutata, le aveva fatto quella domanda ridicola e poi era scappata via. Un groppo al cuore le salì sul volto scaldandolo di rabbia e dolore. Chiunque si sognava di piacerle, non conosceva una sola donna che non sarebbe stata estasiata all'idea di essere voluta da lei, non conosceva una sola donna che segretamente non desiderasse il suo amore. Come era potuta fuggire in quel modo? Come aveva osato scappare dopo averle fatto una domanda del genere?
Per quanto non volesse pensarci non poteva cambiare il ricordo; Dayana l'aveva fatta sentire minuscola e disgustosa…
Come se la sola idea di essere legata a lei in modo più profondo fosse stata talmente spaventosa o ripugnante da aver fatto fuggire Dayana. Dayana! La donna di ferro, quella abituata a non battere ciglio davanti alle descrizioni dei peggiori traumi dei suoi pazienti. Dayana la donna che da anni andava a salvarla, che non provava ribrezzo nemmeno nel vederla vomitare, nel pulire il suo schifo.
Dayana non scappava! Dayana combatteva, rimaneva dura come la roccia, affrontava la realtà di petto. Quella Dayana, la sua unica ancora, si era spezzata davanti ad una stupida semplice ipotesi.

Le ferite di West sanguinarono e glielo fischiarono nelle orecchie: era immensa, era troppo grande, era ingestibile. Nessuno sarebbe mai riuscito ad avere a che fare con lei. Nessuno sarebbe mai più riuscito ad amarla, chiunque ci avesse provato si sarebbe solo distrutto nel tentativo di provarci. Il suo "amore" era solo una maledizione, qualcosa di spaventoso, di talmente terribile che al solo sfiorarlo era meglio darsela a gambe.

Il suo dolore si seccò dolorosamente nel suo sterno tramutandosi in odio.
Decise che l'avrebbe ignorata almeno per una settimana prima di rispondere a quel messaggio o rispondere alle sue chiamate. Le avrebbe fatto sentire quanto non le fregasse di lei, quanto la odiava. Le avrebbe fatto rimangiare quella domanda, anzi l'avrebbe fatta sentire impotete e disgustosa, abbastanza da farla innamorare di lei. Voleva ricevere almeno un altro messaggio di scuse, almeno altre due chiamate, voleva sapere che Dayana si stava struggendo nel senso di colpa e stava agonizzando nel bisogno di perdono prima di concederglielo. Fece un lungo sospiro soddisfatto. Sapere che Dayana stava pensando a lei, che stava pensando a come farsi perdonare, la fece stare meglio nonostante l'alcool, rendeva più sopportabile la pessima giornata di hangover che la stava aspettando.

Si tirò su sentendo il mondo ruotare. A una parte di lei mancò il sostegno stabile di mani forti che non la facevano inciampare sulla gravità, ma era sola da troppo per non sapersi gestire da sé. Si era abituata al peso della propria anima, al peso del malessere fisico, alla fobia soffocante della morte. Si era abituata a non dare poi così importanza a nessuna delle sue ferite e a tirare avanti, proiettandosi verso l'istante in cui tutto quel dolore sarebbe solo stato un ricordo. Si era abituata a non ascoltare la propria parte fragile e bisognosa, a pensarsi solo adulta e insensibile. Incassava tutto quel malessere come un lottatore professionista, forse con un briciolo di masochismo, godendo della propria resistenza ad ogni colpo, ad ogni conato, ad ogni paranoia. Jade sapeva di essere molte cose, ma di certo non bisognosa. No, si era curata di privarsi di qualsiasi bisogno di affetto o sostegno esterno. Si era curata di aver bisogno solo del necessario, solo di ciò che poteva autoprocurarsi. In modo da non dipendere mai da nessuno se non da sé stessa. Anche se Dayana era diventata un sassolino fastidioso, qualcosa di piacevole la quale mancanza era per lo meno percepibile. Le sembrò un ottimo motivo in più per detestarla mentre attraversava la devastazione del suo salotto superando le costellazioni di vetri di bottiglia sparsi e dirigendosi in cucina. Si preparò un caffè e prese una bottiglia d'acqua. Se voleva far passare l'effetto della sbronza doveva idratarsi, glielo aveva rivelato uno studente di medicina quando andava all'università. In realtà avrebbe dovuto farlo in contemporanea all'assunzione degli alcolici, ma meglio tardi che mai, pensò attaccandosi a canna e bevendo il più possibile. Attrezzata a momenti del genere ingerì anche un farmaco antiemetico, qualcosa per l'emicrania e un altro farmaco che non ricordava bene che facesse, ma era certa che male non avrebbe fatto. Ad ogni movimento della testa si sentiva morire, ma doveva resistere e mangiare. Si rese conto che sarebbe stato meglio mangiare prima di prendere tutti quei farmaci, non dopo, ma con quel caos in testa le veniva difficile mettere in ordine i pensieri. Aprì un pacchetto di crackers e iniziò a deglutirli controvoglia, obbligandosi a mangiarne almeno uno intero.

Dangerous Teacher II OssessioneWhere stories live. Discover now