Capitolo 25

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Katherine guardò il proprio riflesso, riflessi di tramonto le incorniciavano il volto. I suoi capelli non erano mai stati tanto lunghi. Le dita si incastrarono tra i nodi, insistette insensibile strappandone alcuni.
«Chi è Katherine? Cosa le piace fare?» era la domanda che si era ripromessa di indagare da quel giorno in poi. Aveva bisogno di sentire di esistere, di sentire di essere qualcuno con un'identità vera e propria, qualcuno con passioni e sogni unici. Perché cos'era una persona se non la sua passione e i suoi sogni?
Pensò a Jade; il personaggio perfetto che confermasse la sua regola. Doveva solo capire da dove partire per conoscersi.

Frugando dentro al proprio comodino trovò ciò che cercava. Sfogliò qualche pagina per poi aprire la prima bianca. Si distese a pancia in giù sul proprio letto e con la prima biro a portata di mano scrisse: “hobby”
Girò pagina: “sogni”
Andò a quella a fianco: “obiettivi”
Tra gli hobby scrisse quelli che sapeva di avere, ovvero: la lettura di fantasy e manga, i cartoni animati, film, e i videogiochi. Si rese conto che avrebbe voluto fare qualcosa di più creativo. Il suo aspetto  fisico come i suoi hobby la facevano sentire una sfigata. Voleva essere qualcuno che se avesse visto per strada avrebbe ammirato provando il forte desiderio di voler fare la sua conoscenza. Girò pagina e aggiunse: “aspetto”
Osservò la pagina vuota. Le faceva schifo il suo riflesso, ma non aveva idea di come renderlo migliore.

Tornò alla pagina dei sogni e rimase spiazzata dal bianco del foglio. Per sogni, diversamente dagli obbiettivi, intendeva qualcosa di grande, di enorme, una qualche vocazione, qualcosa di raggiungibile solo col tempo, qualcosa da costruire.
Non si era mai resa conto di non avere sogni. Non aveva idea del suo lavoro dei sogni, non aveva nemmeno idea di un'ipotetica casa dei sogni. Pensare al futuro le sembrava difficile, quasi stupido, ma da qualche parte doveva pur partire. Sognava cose semplici? La classica “felicità”? Che poi detta così che valore poteva avere? Non le serviva a niente la "felicità", aveva bisogno di un sogno concreto, di una strada da seguire, di un futuro da immaginare, da afferrare e stropicciare.

Deglutì l'incertezza. D'altronde come poteva avere dei sogni senza sapere chi fosse e cosa le piacesse? Era straziante, si sentiva intrappolata in una personalità scialba e insapore. Frustrata andò sulla pagina degli obiettivi. Pensare al presente, a ciò che poteva concretamente fare per stare meglio le venne più semplice.
Finalmente la biro lasciò traccia e scrisse.

"Essere promossa"

Non era molto ma era pur sempre un inizio. Significava che ciò che doveva interessarsi a fare era studiare, doveva trovare soddisfazione nello studio e nei bei voti. Era già una caratteristica, giusto? Non voleva essere una secchiona, ma non voleva nemmeno continuare a sentirsi stupida per le insufficienze. Pensò anche alla patente, ma la scrisse tra parentesi: non voleva sovraccaricarsi di tante aspettative, avrebbe aspettato un periodo più tranquillo per quella. Non aveva nemmeno voglia di chiedere ai suoi i soldi... dopo quello che era successo glielo avrebbero fatto pesare, o si sarebbero imparanoiati che un aspirante suicida alla guida non fosse il massimo, e chissà, forse avrebbero avuto ragione. Nemmeno lei si sentiva poi così sicura di sé e delle proprie intenzioni. Voleva vivere, per questo la spaventava sapere che una parte di lei avesse cercato di farla morire.
Tutto sommato quei pensieri la aiutarono a capire che volere pagarsi la patente da sola comportava aggiungere “trovare un lavoro” alla lista. Anche questo lo inserí tra parentesi, vedendolo come distante.

Kat sospirò e chiuse il quaderno provata dalla sua ricerca interiore. Lo mollò sul comodino e si lasciò cadere sul letto. Abbracciò qualche secondo della propria apatia, ci si rifugiò.

'Probabilmente mi aiuterà la psicologa con sta roba.' rifletté guardando le proprie dita aperte, col palmo verso il soffitto.
'È il suo lavoro, no? Speriamo sia brava…'
Kat non era mai andata da una psicologa in vita sua. I suoi genitori si erano rifiutati di accettare che avesse difficoltà fin dall'infanzia. Le dicevano sempre che esagerava, che doveva solo smetterla di piangersi addosso e impegnarsi di più. Pensando a loro si rese conto di odiarli. Ora sarebbe andata da una psicologa solo perché il sistema sanitario lo riteneva necessario visto il suo tentato suicidio e la sua amnesia. Se non avesse toccato il fondo sicuramente non lo avrebbero trovato utile. Quell'anno che era maggiorenne aveva anche pensato di andare dalla psicologa della scuola, ma assentandosi durante le ore scolastiche i suoi compagni l'avrebbero scoperta e l'avrebbero sicuramente presa in giro di più; non aveva trovato il coraggio.

Dangerous Teacher II Ossessioneحيث تعيش القصص. اكتشف الآن