3: Natiell

4 0 0
                                    

L'uomo lo aspettava nel suo ufficio. Camminò tranquillamente fin lì ignorando le risatine dei membri più anziani e si chiuse la porta nera dietro le spalle. Arkar fu mandato a recuperare un paio di panini per lui e Madoka. Appoggiò le spalle alla porta.
Lo sconosciuto aveva la pelle scura, i capelli ulotrichi. Vestito di nero, l'unica cosa che risaltava erano i denti e le sclere degli occhi, entrambi bianchi. Sotto la felpa nera, il bordo di una maglietta rossa. Il suo sguardo fu subito catturato dai capelli viola di Joyce. Alzò un sopracciglio. <Comandi tu?>
<Sorprendente, vero?> replicò gelido quello, la voce leggermente rauca dopo la notte insonne ed il vento di quando si era sporto dall'auto. <Shaanika Kou?> l'uomo dall'altra parte della scrivania annuì. <Isak Lindgren?>
<Chiamami pure Joyce> mormorò lui, sfogliando il fascicolo. <All'entrata portavi due pugnali nascosti sotto la felpa. Hai obiezioni?>
<Nossignore.> lo prese in giro l'altro alzando le mani. <Li riavrò indietro?> aggiunse poi.
<No.> rispose placidamente Joyce sistemandosi il maglione. <Qual è il motivo per cui sei finito nell'alveare a conversare con l'ape regina?> solo allora alzò lo sguardo verso di lui, un'occhiata glaciale di chi sa di avere in pugno la situazione.
<Mi hanno mandato a capire che tipo foste.>
<Usa pure il tu. Non penso di essere così vecchio rispetto a te.> accavallò le gambe, <Avuto le tue risposte?>
L'altro uomo distolse lo sguardo come se si vergognasse. <Hai dei bei capelli.> commentò a bassa voce.
<Guarda te, pensavo di cambiare colore.> replicò piatto Joyce appoggiando il mento alle dita intrecciate delle mani e spingendosi indietro gli occhiali. <Non mi fido per niente della tua risposta.>
Kou si mosse a disagio sulla sedia, come uno che dopotutto se lo aspettava. Trovò interessanti le sue stampelle e ci si soffermò. <Non riesci a camminare?>
<Non credo la mia deambulazione rientri nei tuoi interessi.> rispose Joyce. <Qual è il vero motivo per cui sei qui?>
L'altro si guardò intorno con sospetto. <L'uomo ucciso. Era mio cugino. Non lo conoscevo abbastanza da piangerlo, ma ciò non mi ha impedito di presentarmi.>
Il sopracciglio di Joyce si alzò. <Devo aspettarmi tu mi esploda davanti per rendere giustizia al tuo caro?>
Kou sbatté le palpebre. <No. Ho disobbedito agli ordini venendo qui. Intendo uccidere solo chi lo ha ucciso.>
<Quindi non io, deduco.>
<Lo hai ucciso tu?>
<No.> Joyce si scostò i capelli dalle clavicole, <Io ero in ferie e desidero vivamente tornarci.>
<Non sembri tipo da vacanza.> mormorò cauto Kou.
<Nemmeno tu sembri tanto stupido da disobbedire agli ordini dall'alto, eppure eccoci qui.> sospirò l'altro. <Sei sotto la mia responsabilità. Te ne rendi conto? Una mossa falsa e o muori tu o muoio io. Nel peggiore dei casi, entrambi. Sono stato chiaro?>
Kou alzò lo sguardo dalle vene delle sue mani aperte sulla scrivania a cui si era appoggiato quando si era sporto verso di lui. Per un attimo rimase a fissarlo negli occhi. Gli occhi di Kou erano di un colore bizzarro ed indefinibile tra il legno e il nocciola, ma se guardavi bene, vicino alla pupilla si distingueva grigio e blu. Gli occhi di Joyce erano una finestra sulla Normandia, un mare azzurro chiaro sovrastato da nuvole grigie. <Immacolato.> rispose dopo aver deglutito. Joyce era conscio gli stesse fissando le lentiggini sul collo. Si risistemò seduto sulla sedia imbottita e gli rivolse un'occhiata. <Hai altro da dichiarare?>
<Odio gli spinaci.>
<Lo terrò presente. Seguimi.> Sospirò maledendo la grandezza di quel posto e recuperando le stampelle. Kou fece per prenderlo quando mancò un appoggio, ma si mosse come l'esperienza gli aveva insegnato e non ce ne fu bisogno. Lo scortò fuori. <Stammi di fianco, se non davanti. Ci tengo a morire in uno scontro frontale piuttosto che alle spalle.>
Kou annuì alzando le mani ed obbedendo.
<Posso chiamarti Jojo?>
<Non se ci tieni alla vita.> fu la risposta dell'uomo dietro di lui, facendolo ridacchiare.
<Dimmi, Joyce, è il tuo vero nome?>
<Sì.> fu la laconica risposta dell'altro. <E anche Lindgren è il tuo vero cognome?>
<Una specie.> Joyce recuperò un mazzetto di chiavi dalla tasca ed aprì una porta. Avevano fatto un giro più lungo, ma la stanza di Kou era comunque davanti alla sua. Una aveva la porta nera ed una bianca. <Questo mi sa di razzismo.> brontolò Kou. Joyce lo spinse dentro con la stampella.

La stanza era identica a quella di Joyce, Madoka, Arkar e Pratyush, tranne che per il fatto che i muri erano di una tonalità di verde chiaro che richiamava la primavera ed il copriletto verde scuro.
<Se hai bisogno sono nella stanza davanti. Bussa due volte e poi una volta. Intesi?>
<Intesi. La cena è alle?>
Joyce si lasciò andare ad un sospiro. <Alle nove. Veniamo a prenderti io ed Arkar.>
Kou annuì, pensando che era la prima volta nell'ultima mezz'ora che Joyce gli dava l'impressione di una persona reale e non di una statua di pietra. Rimase a fissare la porta anche dopo che se ne andò. Doveva ammetterlo: era intrigante. Poi si rese conto che nemmeno per spingerlo nella stanza lo aveva mai toccato.

Quando Joyce tornò Madoka si era già riaddormentato, ancora vestito esenza nemmeno aver sfatto le coperte. Lo scrollò per una spalla. <Mads.>
Arkar si lasciò sfuggire un risolino intenerito quando entrò con i panini. Joyce lo ignorò accarezzando i capelli al fratello minore. <Mads, Arkar ha portato da mangiare. Se vuoi puoi saltare la cena e andare subito a letto.>
<Qualcuno ha detto cena?> mormorò Madoka sfregandosi gli occhi.<Potrei mangiarmi il tavolo.> diede un morso soddisfatto al sandwich che Arkar gli porgeva. Prosciutto, formaggio e maionese. Perfezione. Anche Joyce siconcesse un momento ristoro prendendo il suo e ringraziando Arkar, mangiandolo seduto sul copriletto del fratello, le stampelle dimenticate a terra.

MamihlapinatapaiWhere stories live. Discover now