15: Natiell

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Afra si svegliò due settimane dopo, la vigilia di Natale. Mavi non smetteva di tenerle la mano da quando era arrivata, ed ora lei poteva ricambiare la sua stretta. Aveva aperto quegli occhi, due fari di colori diversi come gli occhiali 3D, e lo aveva guardato. Aveva guardato il suo migliore amico, il ragazzo che era rimasto al suo fianco, che le aveva controllato la flebo e che aveva aiutato a cambiarle le bende, a fare in modo che le ferite non si infettassero. Gli aveva sorriso.
Una settimana e mezza dopo sostava già in piedi, seguita da Mavi come un'ombra, uno spettro, un angelo custode pronto a sorreggerla se fosse caduta. Joyce e Kou così li osservavano, arresi al cospetto di qualcosa di più grande di loro. La mano di Kou era scivolata silenziosa in quella di Joyce, che gliel'aveva stretta senza guardarlo. E Kou aveva sorriso di nuovo. Aveva imparato a conoscerlo, Kou, il suo modo di incrociare le braccia e tamburellarsi le dita sull'avambraccio, il piccolo sospiro quando inforcava gli occhiali, il passetto barcollante che faceva prendendo le stampelle come un ballerino prima di salire sul palco. Allo stesso modo, Joyce aveva imparato a conoscere Kou, come distoglieva lo sguardo quando lo sorprendeva a fissarlo, come lo abbassava mentre pensava. I suoi sensi di colpa. Joyce era l'unico a sapere i motivi, ma sapeva anche che non sarebbe stato così ancora per molto.

<Buon Natale.> Kou sgranò gli occhi fissando il coltellino svizzero che gli aveva passato Joyce. Bianco e argentato, brillava alla luce calda del lampadario, affilato come un bisturi. <Oddio,> gemette, <Ora mi sento in colpa per averti comprato una cosa più piccola.>
Joyce gli assestò una pacca sulla spalla. <Non fare l'idiota, fa vedere.>
Kou non dimenticò più il luccichio nei suoi occhi quando gli porse un anello nero identico a quello che indossava lui. <Sei importante,> gli sussurrò all'orecchio, <Lo sei sempre stato.>
Joyce gli prese la mano e i due anelli produssero un tintinnio metallico simile ad un campanello. Gli sorrise, il bianco degli incisivi s'intravedeva sotto le labbra schiuse. <Sta' zitto.> ma i suoi occhi brillavano. Passarono il Natale loro sei, insieme, sdraiati sul letto di Kou a mangiare schifezze guardando un film sul portatile di lavoro di Joyce, scaricato senza permesso e illegalmente.
<Che è?> chiese infatti il proprietario del computer indicando lo schermo con una patatina, con una smorfia disgustata. Kou si era abbandonato contro di lui, un braccio sulle sue spalle. <Non ti piace?> si ficcò in bocca una manciata di popcorn. Joyce mangiò la patatina fissandolo male. <È un film per bambini.>
<Andiamo, cos'hai contro il Grinch?> rise Arkar. <Ti assomiglia troppo?> sghignazzò Prat, per poi piegarsi in due a causa di una gomitata tra le costole.
<Io non sono...>
Kou indicò la sua maglietta. Joyce per l'occasione era semplicemente in pigiama. Grigio, bordi bianchi, la silhouette del Grinch e del suo cagnolino che camminavano. Le lenzuola lo coprivano solo in parte.
<Ti odio.> declamò infatti il biondo, facendo scoppiare tutti in una risata collettiva. Si lasciò andare ad un sorriso dietro una smorfia esasperata. Madoka sorrise, la testa in grembo al fratello.
Potevano avere trent'anni, ma erano ancora bambini bisognosi l'uno dell'altro.

Giorni dopo, qualcuno bussò alla porta di Joyce.
<Afra?> suppose lui riconoscendo i passi. <È aperta, entra pure. È arrivato il momento di parlarne.> si sistemò il colletto della camicia rosa chiaro fuori dal maglione viola antico.
La ragazza annuì sedendosi sul letto di Arkar. <Non sei stato tu.> disse infatti. Joyce annuì con un gesto secco del capo. <Sono troppo bello per essere replicato.>
Afra sospirò. <Come lo sai?>
Lui si girò con tranquillità. <L'ho visto come mi hai guardato quando ti sei svegliata.> si mise i guanti. <C'è un impostore in giro.>
La ragazza annuì, ed i suoi occhi bicolore scivolarono sulla sua figura. <Però è più basso, e ha la vita più stretta. Indossava abiti ampi quando mi ha accoltellata.>
Joyce annuì sedendosi sulla scrivania, si mise gli occhiali e iniziò a scrivere. <Continua a descriverlo. È importante.> lei volse il viso di lato. <Non l'ho visto in faccia, solo di sfuggita prima che mi affondasse il pugnale nelle scapole.>
Joyce annuì con calma. <Era un coltello da cucina. Ti è arrivato alle spalle, e lo aveva nascosto sotto la neve, nel dirupo sullo Zaye. Che ci facevi nella radura?>
<Giocavo con la neve. Fa un bel rumore quando la calpesti.> replicò imbarazzata lei.
Joyce chiuse gli occhi e si concedette un sospiro. <Deduco che l'assalitore avesse una parrucca.>
Lei si strinse nelle spalle. <Penso di sì, oppure no. Capelli biondi ricci molto simili ai tuoi. Se non ti avessi visto dopo essere rinvenuta...>
<Avresti dato per scontato.> brontolò lui scrivendo, la mano sinistra che scattava velocemente sul foglio. <Sì. Avrei dato per scontato. E invece non sei tanto male.>
<Sono perfino peggio.> borbottò lui senza alzare la testa. < Credi sia una donna?>
Afra aggrottò le sopracciglia. <Stai escludendo a priori gli uomini con il vitino da vespa?>
<Non ne vedo in giro.> rispose lui accavallando le gambe.
<Guardati allo specchio.>
<Abbiamo già appurato che non sono io.> la rimbeccò Joyce. <Quindi, è una donna.>
Il sopracciglio di Afra si alzò. <Non ne conosco molte.>
<Non guardarmi così. Non ho amiche.> si tirò indietro lui facendola ridacchiare.
<Posso essere la prima?>
<Levati dai coglioni.>
Afra scoppiò a ridere mentre lui appuntava sbuffando.

MamihlapinatapaiWhere stories live. Discover now