26: Natiell, Sjaren

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Joyce si svegliò che era ormai pomeriggio inoltrato, prese uno Xanax e si mise a lavorare, a cercare più informazioni possibili. Doveva essere pronto. Dopo un po', sospirò e chiamo Lage.
<Devi andare.>
Il bambino lo guardò confuso. <Dove?>
<C'è un bus per Natiell, parte tra poco.> gli allungò il biglietto. <Ci sono i tuoi genitori lì. È tempo di andare.>
<Verrai con me?>
<Ho cose importanti da fare qui. Starai bene.> si inginocchiò davanti a lui tirandogli su la zip della felpa. <Posso chiederti un favore?>
Il ragazzino annuì.
<Salutami tua madre, per favore, e ringraziala da parte mia.> si alzò il cappuccio e prese il bambino per mano dopo essersi messo una mascherina. Lo accompagnò alla fermata e sospirò quando quello lo salutò dal finestrino.
Sarebbe davvero stato bene. Rispose al messaggio di Hannes e tornò in casa a prendere i coltelli. Ancora una volta, sapeva dove andare.

Il pullman era silenzioso, in orario perfetto. La stazione di Natiell vuota come la sua testa durante un compito di matematica.
In fondo, la donna lo aspettava. Fece qualche passo. Aveva il cappuccio della felpa alzato, e gli occhi azzurri controllarono il posto. Monika sorrideva dall'entrata.
<Vieni qui, piccolo.> gli disse la donna.
Si avvicinò.
Un uomo con la tuta nera lo raggiunse. <Minorenne?>
<Undici anni.>
<Viaggi da solo?>
<C'è mia madre lì.> indicò Monika con un cenno del capo.
<Da dove?>
<Sjaren.>
<È lontana.> commentò quello.
Sì, come i tuoi neuroni tra loro.
<Seguimi, e anche lei, signora, faremo accertamenti.> li accompagnarono verso un'uscita secondaria. La donna abbassò lo sguardo verso di lui e gli fece segno di rimanere in silenzio.
Perché era così difficile seguire il copione?
Quindi sentì una leggera ansia salirgli quando notò che gli uomini erano cinque. Inspirò. Odiava fare cose del genere. Tirò la manica della tuta dell'uomo.
<Ho fame, signore.>
<Noi non...> incominciò quello, ma un altro lo zittì con una gomitata nelle costole. <Avanti, Roy, ci sono le macchinette. Il bambino ha fame.>
Lui sorrise stringendo la mano di Monika. <Anche il cioccolato?> chiese tentando di mantenere un tono di voce infantile. Il secondo uomo annuì allungandogli la mano, ma lui scosse la testa stringendo spaventato quella della donna accanto a lui. <Mamma mi ha detto di non seguire gli sconosciuti.>
Quello fece uno sforzo immane per continuare a sorridere. <Ma certo. Dunque, andiamo tutti.>
<Ralf, non credo che...>
<Avanti, Stig. Abbiamo tempo.> Sono già nostri, voleva dire. Il ragazzino col cappuccio tentò di non alzare gli occhi al cielo. Che bestie stupide che erano.

L'angolo delle macchinette era isolato, una stanza nel muro con una sola porta per uscire e per entrare. Due uomini entrarono con loro, gli altri tre rimasero fuori.
Quando la porta si chiuse, sentì il chiavistello scattare.
<Okay, non lo rifarò mai più.> borbottò Arkar abbassando il cappuccio, rivelando i capelli totalmente neri. Monika si strinse nelle spalle. <È stato divertente finché è durato.>
I due uomini ringhiarono frugandosi nelle tasche.
<Cercate questi?> chiese Pratyush, uscendo da dietro una delle macchinette, le loro ricetrasmittenti rotte in mano. Arkar sbatté le palpebre. <Odio le lenti a contatto. Ed anche la cipria.>
<In effetti mi fai un po' impressione.> commentò Prat tirando un calcio ad un uomo che andò a sbattere alla parete.
<Potevi offrirti tu per fare da esca!> si lamentò Arkar schivando il secondo, che poi cadde quando Monika gli affondò la lama nella schiena.
<Sono troppo alto!> rispose Prat, dando una gomitata nelle costole all'altro e tirandogli un calcio, coronato dallo stupendo suono di ossa rotte.
<Ti odio!> esclamò Arkar incrociando le braccia, pestando poi la mano all'uomo che, caduto, cercava di afferrargli la caviglia.
<Mi farò perdonare.> promise Pratyush tenendo l'omone per il collo e stringendo.
Kou aprì loro la porta sospirando. <Tutto fatto.> Afra annuì indicando gli altri tre cadaveri e Mavi tornò con il vero Lage, che era rimasto nascosto dietro una colonna.
Il bambino corse da sua madre e la strinse forte.
<Okay, momento commovente, ma mi pizzicano gli occhi.> mormorò Arkar.
<È la commozione.> lo zittì Prat.
<No, fottuto coglione, sono le lenti a contatto.>

Joyce osservò le notifiche dei messaggi da Hannes. Erano di nuovo tutti insieme. Bene. Ora toccava di nuovo a lui. Prima che potesse incamminarsi, un messaggio di Kou.
Dov'è?
Ci mise poco a digitare la risposta. Poi sospirò e si mise il telefono in tasca, inforcò le stampelle. Si stava avvicinando la resa dei conti. Si passò una mano tra i capelli e si ricordò di averli tagliati. L'avambraccio pulsava un po', così come la coscia. Sotto la maglietta, l'incisione dava spiacevoli fitte. 

MamihlapinatapaiWhere stories live. Discover now