22: Sjaren

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Il corridoio era buio e c'era odore di cadavere. Joyce trattenne il fiato e respirò il meno possibile, ma già qualche passo dopo ci si era abituato. Camminò rasente ai muri, con una sola stampella. Si fermò davanti ad una guardia, sorrise radioso.
<Joyce Lindgren.>
Accettò con tranquillità il pugno che lo fece volare per terra, tentando di trattenere la nausea.
Probabilmente per lo stesso motivo perse coscienza, perché si risvegliò nel buio più totale, legato come un insaccato.
Dal buio vide il luccichio di un dente d'oro. <Avanti, stronzo.> gli sorrise, <Gustaf Blom, vero?> scoppiò a ridere quando quello appoggiò il bisturi alla pelle nuda del suo petto.
<Sta' zitto.> ringhiò l'uomo da sotto la mascherina.
<Oh no. Vuoi sapere come ho scoperto che c'entravi? Semplice. Sei diabetico, non puoi bere più di un tot di alcool.> mantenne il sorriso mentre il bisturi scendeva ed incideva il pettorale sinistro, pochi centimetri sopra il cuore. <Anche il vecchio Gillis Norberg è in combutta, o si è accontentato dei soldi che gli sono arrivati?>
Inspirò bruscamente quando l'uomo gli infilò un panno in bocca, ma senza smettere di sorridere.
Gustaf era agitato, gli sudavano le mani. Sentiva che il bisturi non incideva dritto. Glielo avrebbe detto se avesse potuto. Con pura forza di addominali e di schiena, si tirò su di scatto tirandogli una testata, mandandolo con la nuca contro il muro. Gustaf si accasciò a terra senza un lamento, il bisturi fece un'ultima maldestra linea sotto la sua clavicola e cadde con un tintinnio metallico.
Gli fece vedere le mani libere mentre si toglieva lo straccio dalla bocca. <E mentre ascoltavi rapito mi sono slegato.> si accovacciò e gli avvolse le dita affusolate attorno al collo tozzo. <Buonanotte, Gustaf Blom.>
Quello per un momento aprì gli occhi e cercò di pugnalargli la coscia. Ci riuscì di striscio prima che Joyce gli aprisse il cranio contro il muro. Quindi si alzò e, con le caviglie slegate, contemplò il caos che aveva creato, mentre un sorrisino si faceva largo sulle sue labbra.
Zoppicò fino alla porta e rubò un coltello dal ripiano. Quindi inforcò la sua stampella, perché sapeva che Gustaf moriva dalla voglia di spaccargli la schiena con quella, in una sorta di macabro paradosso, e uscì chiudendosi dietro la porta.
<Bene.> mormorò a nessuno in particolare, <Ora vediamo di capire dove tengono Lage e Mona.>

La puzza di cadavere peggiorava. Joyce si ritrovò a sperare che almeno uno dei fratelli fosse sopravvissuto. Constatò che, se l'odore era così forte, era passata almeno una settimana.
Seguì quello fino ad un corridoio sorvegliato. Roteò gli occhi esasperato tirando fuori il coltello ed affondandolo nella coscia del primo uomo che aveva vicino, allarmando tutti e muovendosi troppo velocemente perché potessero riconoscerlo. Prese un pezzo di intonaco della sala delle torture e lo lanciò dall'altra parte del corridoio. Gli uomini corsero verso il rumore come tori attratti dal rosso. Solo uno non correva. Quello ferito.
Gli sorrise. <Io ti ho già visto. Sei il figlio di Else.>
<Stai lontano da me.> ringhiò quello. Era alto e dinoccolato, magro come uno stecchino. L'antipode della madre. Joyce gli passò accanto e dopo averlo superato sbadigliò senza guardarlo. Quindi lanciò delicatamente il coltello e lo sentì accasciarsi. Recuperò l'arma ed entrò tranquillamente.

Dentro, l'odore era pure peggio. Non c'era quasi più ossigeno. In mezzo alla stanza, un corpo malamente disteso su un fianco, nudo e viscido. Joyce lottò mentalmente con molti dei suoi traumi per mantenere un'espressione atona. Pungolò il cadavere con la stampella e fece una smorfia.
<Una settimana e mezza. Che schifo.> lo girò supino ed ignorò i vermi e gli insetti.
Mona. Sospirò alzando gli occhi al cielo. Almeno uno l'aveva trovato.

Un singhiozzo da un angolo lo fece voltare di scatto, ed una sberla potente lo mandò a sbattere contro il muro. Rantolò preso alla sprovvista e fissò l'uomo che aveva davanti.
Scosse la testa. <Ricordami il tuo nome.>
Quello, che era poco più di un ragazzo – Joyce pensò con un tuffo al cuore che dovesse avere più o meno l'età di Madoka – sorrise. <Tu non mi conosci.>
<Sapevo lo avresti detto, Rikard. Sei un coglione.> si tirò in piedi. <Dove posso trovare tua madre?>
Il ragazzo ringhiò brandendo un coltello poco più piccolo di quello di Joyce e si lanciò all'attacco.

MamihlapinatapaiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora