11: seconda scena del crimine

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Sospirò passando una mano tra i capelli ancora bagnati di Kou fissando lo schermo del portatile.
Non biasimava gli uomini che uccidevano, perché sarebbe stato un comportamento ipocrita da parte sua, ma aveva bisogno di capire.
Perché?
Fissò le fotografie che tempo prima aveva scattato sulla scena del crimine. In una, la terra sotto la neve, dura e compatta. Aveva chiesto a Kou di sgombrare abbastanza terreno da poterlo fotografare. Ora fissò quella foto che, nonostante fosse una delle prove, gli trasmetteva un'inusuale calma. Kou dormiva. Erano le undici e un quarto. Fuori dalla camera – ed anche dentro, in verità – si gelava anche con il riscaldamento acceso. Joyce si strinse nel maglione. Non era vero che non soffriva il freddo, ma quando veniva avvolto da quel familiare abbraccio glaciale non sentiva più il resto. Era senza guanti. Li aveva tolti entrati nella sua camera, ed ora rigonfiavano appena la tasca dei suoi pantaloni militari.

Il telefono squillò. Era il suo, perché solo lui aveva Stressed Out dei Twenty-one Pilotes come suoneria. Si alzò cercandolo, un velo di sudore freddo gli imperlò la fronte. Ci stava mettendo troppo, e stava camminando senza stampelle. Kou si svegliò quando lo sentì cadere, ma non si era nemmeno messo seduto che Joyce si era già tirato su e aveva trovato il telefono sotto una catasta di libri e accettato la chiamata.
Chi è? Chiese con lo sguardo Kou vedendolo farsi pallido.
Joyce alzò una mano verso di lui metabolizzando le informazioni. Poi disse: <Arriviamo subito. Tu chiama un'ambulanza, la porteranno qui.> riagganciò e fissò Kou. <Rivestiti. Codice arancio.> gli lanciò la giacca. <Muoviti. Non abbiamo tempo.>
Kou sbatté le palpebre. <Sei caduto> mormorò.
<Non è importante.> ringhiò Joyce inforcando di nuovo le stampelle ed afferrando le chiavi della macchina dallo scaffale sopra la testata del letto. <Ti aspetto in auto. Sbrigati o vado da solo.>

Kou sbatté la portiera sistemandosi alla guida. Joyce aveva acceso la macchina, ma si era seduto sul posto del passeggero. <Dove devo andare?>
<Al vecchio ristorante giapponese, Da Hoshi.>
Kou annuì facendo inversione ad U nel parcheggio. <Che vuol dire codice arancio?>
Joyce si indicò silenziosamente la spalla e appoggiò la nuca allo schienale.
Passarono un paio di minuti. <Stai bene? Sei ancora pallido.>
<Mi fa sempre un certo effetto essere fuori campo quando chiamano.> sibilò l'altro girando il viso di lato. Kou roteò gli occhi cercando di ignorare quanto quella frase l'avesse ferito. Sterzò e si concedette di guardarlo. Il sudore freddo gli brillava a piccole goccioline sulla fronte. <Descrivimi la vittima.> chiese, cercando in qualche modo di distrarlo. Joyce si girò appena a guardarlo. <Femmina, ventotto anni come te. Tajo. Vitiligine. Un occhio scuro ed uno azzurro.>
Kou sperò di essere inglobato dal sedile. <La conosco.>
Le sopracciglia di Joyce si alzarono all'unisono. <Bene. Questo vuol dire che passerai oggi con me a raccontarmi di lei. Contento?>
<È la mia ex ed una dei miei più cari amici.> gemette lui.
<Non mi cambia niente.> replicò gelido Joyce cercando di raddrizzare la schiena contro il sedile.
<Non puoi davvero procurarti un bustino?>
<Non puoi davvero chiudere la bocca?>
Kou ringhiò fissando la strada. <Stai facendo lo stronzo.>
<Non sei abbastanza in alto nella gerarchia da potermi offendere.> replicò l'altro in un sibilo. Kou lo vide con la coda dell'occhio ingerire il contenuto di una bustina.
Alzò un sopracciglio. <Che è?>
<Aspirina.> rispose Joyce prendendosi le tempie e chinando la testa. <Guida e basta.>
<Sicuro di star bene? Se vuoi accosto.>
<Cristo.> sbottò il biondo, <Guida e basta, cazzo. Sto bene.>
Non aveva ancora ripreso colore quando zoppicò fuori dalla macchina. Kou inspirò e l'aria gelida gli ferì la trachea. Una grande macchia rossa colorava la neve in mezzo a quella desolazione. Seguì Joyce deglutendo. <Che cosa abbiamo?>
<L'ha colpita da dietro.> mormorò l'altro tra sé e sé, <Ma i soccorsi hanno incasinato le impronte.> scese verso il pendio con un'andatura peggiore di quella a cui Kou era abituato. <E dove nascondere un'arma per non farla trovare?> lo sentì dire mentre accelerava il passo.
<Joy, la macchia di sangue è di là...>
<Trovata.>
Kou sbatté le palpebre. <Cos'hai trovato?> erano almeno cento metri distanti dalla macchia, e Joyce era sceso in una rientranza nel terreno che poi scendeva a strapiombo sul fiume Zaye. La neve non era nemmeno stata spostata.
Il biondo allungò una mano. <Busta per le prove, grazie.>
<Per?> tentò Kou.
<Per il coltello da cucina che ho trovato. Ti sbrighi?>
Kou ringhiò allungandogliela, poi soppesò il coltello in mano, uno di quei coltellacci per la carne. Quindi guardò giù, incontrando due iridi grigie. <Ti serve una mano ad uscire da quel buco?>
<Posso fare da solo se mi tieni le stampelle.> gliele porse e a Kou sembrò fuori dal mondo vederlo in piedi senza. Joyce si issò con le braccia su dal buco. Aveva ripreso leggermente colore, ma probabilmente era il freddo.
<Stai bene?>
<Sto benissimo. Torniamo alla macchia di sangue.> Kou annuì seguendolo, cercando di stargli vicino. Gli allungò la busta quando gliela chiese.
Joyce provò un affondo senza togliere il coltello dal sacchetto, quindi rimase a provare per un tempo che a Kou parve lunghissimo. Quindi glielo restituì. <Di lato e da dietro. Funziona sia il fendente che i tondi. Potrebbe aver usato un montante, ma con un coltello da cucina mi pare difficile.> si morse il labbro guardandolo. L'altro lo fissava a bocca aperta.
<L'assalitore è mancino, e guarda qua.> indicò il coltello. <Il sangue va da una parte. Ha prima affondato e poi trascinato. Come se...>
<Facesse finta di essere alle prime armi?> provò Kou nervoso.
Joyce assottigliò lo sguardo.
<Scusa.>
<Era giusto.>
<Lo so.>

Joyce si passò una mano tra i capelli sospirando. <Lei è caduta in avanti e lì l'hanno trovata.>
<Chi l'ha trovata?>
<Un ragazzino Tajo, credo tu conosca anche lui.>
<Cristo santo,> mormorò Kou, <Dimmi che non è Mavi. Avrà gli incubi fino alla fine dei tempi.>
<Si procurerà qualche Xanax.> borbottò Joyce arrancando nella neve mentre alcuni uomini in tuta bianca issavano il tendone sopra la macchia. A Kou sembrò stesse parlando per esperienza. Lo raggiunse di corsa. <Dove sono? Devo vederli.>
<Al momento lei credo non si possa vedere. Il ragazzino non lo so, dovrebbe essere al quartier generale.> Kou inspirò. <Ha ventisette anni.>
Joyce non rispose entrando in macchina.

Lo vide ingoiare una pillola. <Joy.>
<Xanax.> si difese l'altro.
Kou inchiodò lo stesso. <Stai prendendo lo Xanax insieme all'aspirina?>
Joyce sospirò. <Ne possiamo parlare dopo? Sei in mezzo alla strada.>
L'altro annuì sospirando, tornando alla scuola.

MamihlapinatapaiWhere stories live. Discover now