8: Agnes, scena del crimine

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La casa era una piccola fattoria, con annesso un altro edificio per gli animali. Sulla soglia apparve un uomo dalla pelle lattea e la barba nera, molto simile ad Hannes tranne che per gli occhi scuri.
<Agnes vi aspetta davanti al fuoco.> lasciò il berretto di lana all'appendiabiti e così fece Madoka col suo giubbino.

Joyce all'entrata si spazzolò via la neve dai capelli e Kou si affrettò a seguirlo. Nella casa c'era un bel tepore. Una signora anziana si dondolava su una poltrona sferruzzando. Alzò lo sguardo verso di loro e con un gesto della mano congedò l'uomo.
Rughe profonde le solcavano il viso e, minuta e magra com'era, non doveva superare i cinquanta chili. Un gatto sbadigliò accoccolato nel suo grembo. Joyce inclinò il viso e la donna annuì.
<Da quanto tempo.> sorrise, i denti leggermente ingialliti. <Fate vedere come siete cresciuti.>
Joyce spintonò avanti Madoka e Agnes gli pizzicò le guance. <Tu devi essere il piccolo. Quanti anni hai, tesoro?>
<Diciotto.>
<Diciassette.> tossì Joyce dietro di lui. Madoka roteò gli occhi. <Diciassette, okay.>

Kou notò che Joyce stava a debita distanza dal fuoco. Era entrato insieme a lui, ed ora il biondo era parecchi passi dietro di lui, che si riscaldava le mani congelate.
<Nonna> lo sentì chiamare, <A Madoka serve ciò che ti ho anticipato.>
<Ma sì, ma sì.> replicò la donna. <Mentre lo cerca vado a prendere i biscotti che ho infornato prima.> si alzò ed il gatto scese dalle sue gambe con un saltino, raggiungendo Joyce e fissandolo con gli occhioni gialli. Kou si girò a guardarlo nell'esatto momento in cui il gatto soffiò verso di lui, seduto sugli scarponi di Joyce.
<Non gli piaci.> mormorò questo accarezzando la macchia bianca sulla gola del felino, che velocemente raggiunse la padrona in cucina. Joyce si raddrizzò con un brutto scricchiolio di vertebre.

<Andiamo.>
Kou si girò di scatto. <Siamo appena entrati. Finalmente ho smesso di tremare.>
<Ho detto andiamo.> Joyce non sembrava a suo agio nelle case altrui.

<Fuori c'è una tempesta coi fiocchi di neve. Capita?>
<Mi faresti la grazia di chiudere il becco per un po'?> lo zittì esasperato il biondo rientrando in macchina. Kou sbuffò facendogli il verso a bassa voce, ma poi si bloccò. <Conosco questa strada.> gli sfuggì. Joyce non rispose. <Accosta.> a Kou tremava la voce. <Cristo, accosta.>
Il biondo lo ignorò, parcheggiò in un posto libero e tutta la macchina sussultò quando Kou sbatté la portiera.
<Ti senti bene?>
<No.> replicò l'uomo dalla pelle scura. <Perché mi hai portato qui?>
<Non sono ancora stato sulla scena del crimine. Ho pensato che potevi saperne più di me.>
Kou replicò con un verso irritato girandosi di spalle.
<Andiamo,> disse tranquillo Joyce tirandosi in piedi, <Non avrai mica pensato che ho davvero creduto fosse tuo cugino.>
Kou lo fissò con gli occhi stretti incamminarsi verso il capannone bianco quasi invisibile in mezzo alla neve.
Sotto il capannone non c'era anima viva. Letteralmente, a parte loro due. Joyce si legò rispettosamente i capelli in una crocchia alta e Kou lo seguì malvolentieri. L'uomo nella piccola fossa a bordo strada era ancora intatto. Quasi sicuramente per merito del freddo. I rasta spessi erano congelati, sembravano serpenti scuri contro il terreno.
Kou rimase a distanza. Joyce si avvicinò tranquillo e si accovacciò accanto alla testa del cadavere, fuori dal nastro giallo.

<Come pensi lo chiameranno? L'uomo della strada?>
<Lo hanno chiamato L'uomo del Gelo.>
Il biondo si guardò intorno. <Gli si addice. Sotto di lui c'è poca neve, dev'essere morto più o meno una settimana fa, ma è congelato e si è mummificato. Se lo lasciassimo qui probabilmente lo ritroverebbero tra milioni di anni?>
<Suppongo di sì.> brontolò Kou calciando di lato una pietra.

<Kou?>
<Dimmi.> alzò lo sguardo quello.
<Cosa pensi ci sia Dopo?>
Kou sbatté le palpebre preso alla sprovvista. <Dopo? Mi piace pensare che la morte non esista.>
Joyce si girò verso di lui sorpreso.
<Citando Sadhguru, la morte è solo una finzione dell'inconsapevole,> aggiunse, <C'è solo vita, vita e vita che si sposta da una dimensione all'altra.>

Joyce fissò l'uomo dietro di lui. La fronte aggrottata, gli occhi fissi sul viso del cadavere, i capelli crespi appiattiti sotto il cappuccio, le labbra screpolate dal freddo. Per la prima volta intravide il vero Kou e non ciò che faceva credere agli altri. Quello gli si avvicinò in brevi falcate e si accovacciò vicino a lui. Ora le loro teste erano vicinissime.
<Quindi il nostro amico non è morto.>
Kou annuì mentre Joyce si preparava una sigaretta. <È vivo. Solo, non qui.>

<Mi piace questo modo di pensare.> commentò l'altro dando la prima boccata stando attento a stare sottovento in modo da non espirargli il fumo in faccia. <Non ci avevo mai pensato.>
<Secondo te cosa c'è Dopo invece?> Kou alzò lo sguardo quando Joyce si alzò sulle stampelle.
<Ho sempre pensato ci fosse solo buio caldo, comodo e vibrante per l'Eternità.> sorrise questo riportandosi la sigaretta alle labbra. <Non ne sono più molto sicuro. Grazie per aver risposto alla mia domanda in modo così illuminante.>
Kou sbatté le palpebre. La rabbia di poco prima si affievolì in un timido sorriso. <Mi piacciono i ragionamenti filosofici.>
<Non si direbbe.> lo sbeffeggiò con tranquillità il biondo, e lui non obiettò perché sapeva che era vero. Fu allora che notò di non avere più tanto freddo. Era come se fosse tutt'uno con l'inverno intorno a lui. Era come essere sott'acqua, l'aria gelida tagliava i polmoni ed era difficile respirare ed il freddo intorpidiva i muscoli, ma la mente era lucida come non mai. Era così che si sentiva Joyce?

Fissò il volto dell'uomo, la bocca ancora aperta in un grido silenzioso. Mi dispiace. Si alzò e guardò Joyce. Ed il brutto era che gli dispiaceva davvero. Guardò l'uomo che lo sovrastava e sospirò.

<Penso tu sappia più di quello che vuoi farmi credere.>
<A tempo debito.> fu la tranquilla risposta del biondo. <Saprai tutto ciò che so.> abbassò lo sguardo verso di lui, che intanto si era alzato. Kou non si era accorto che si era tolto i guanti.
<Mi fai un favore?> chiese Joyce.
L'altro annuì confuso, e poi sentì la mano gelida dell'altro stringere la sua.
<Rimani fermo.> sussurrò il più alto, <Rimani immobile.>
Le dita di Kou erano calde contro la sua pelle. Lui fissava il bianco della neve con gli occhi sgranati, una scena un po' buffa alla quale a Joyce venne da sorridere; forse l'aveva preso leggermente troppo alla lettera.
Poi le sue dita si incastrarono nello spazio tra quelle di Kou e lo sentì sospirare.

Passò qualche minuto di silenzio.

E poi Kou chiese:
<Posso stringerti la mano?>

Joyce annuì lentamente e rimasero immobili, in mezzo al gelo, mano nella mano, a fissare quel cadavere mummificato perché era l'unica cosa che potevano guardare per non sprofondare nell'imbarazzo.

E poi Joyce disse, un sussurro flebile che sotto all'ululato del vento era a malapena percepibile:
<Puoi chiamarmi Joy.>

E poi, dopo qualche altro minuto: <Per caso Sadhguru ha anche un metodo per apprezzare momenti come questo?>

Kou scoppiò a ridere quasi cadendo in avanti contro il cadavere, poi annuì prendendogli entrambe le mani con le sue. <Mettile così.> gliele unì come fanno gli indiani e lo imitò. <Guarda qualcosa che è importante per te o chiudi gli occhi. Posso non guardare se vuoi. Quindi rimani così dieci-dodici minuti e cerca di guardare quella cosa con tutta la gratitudine che puoi. Fa bene all'ansia.>
Joyce annuì scettico e Kou chiuse gli occhi.

Non glielo disse mai, ma i dieci minuti che seguirono li usò per memorizzare ogni sfaccettatura del suo viso, conscio che comunque anche Kou sotto le ciglia guardava lui.

MamihlapinatapaiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora