Ricordo futuro - VI - Il processo

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La fascia in pelle rigida, che gli avvolgeva le spalle e teneva i polsi fissi al petto, lo costringeva ad aprire leggermente le ali in una posa che gli causava una certa tensione alle spalle

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La fascia in pelle rigida, che gli avvolgeva le spalle e teneva i polsi fissi al petto, lo costringeva ad aprire leggermente le ali in una posa che gli causava una certa tensione alle spalle. Gli dava fastidio anche lo stridere delle catene alle caviglie a ogni passo, ma si sforzava di respirare lentamente e sorridere a labbra strette. Guardava un punto indefinito davanti a sé, mentre procedevano lungo il corridoio. Forse una finestra o forse il sole. Sperava facessero presto, ma più di tutto sperava di poter partire subito dopo, per poter volare dal suo pezzo di cuore nascosto, da solo, nel Bosco.

Le spinte sgraziate degli uomini che lo accompagnavano e le loro occhiate di disprezzo avrebbero dovuto umiliarlo e offenderlo. Così conciato non metteva paura, era chiaro, e loro non erano in grado di contenere l'orgoglio di essere riusciti a legarlo e controllarlo. L'aquila assassina. Romeo scosse il capo e sbuffò un sorriso quando, mentre passavano davanti alle altre celle, le guardie si impettirono spavalde al suo fianco e alzarono il mento davanti agli altri detenuti.

Romeo non si sentiva oltraggiato, d'altronde come può qualcuno abituato a essere definito abominio prendersela per qualche occhiata storta e due sputi?
La sensazione che gli faceva formicolare la vescica in quel momento era piuttosto compassione e vergogna per loro.
Ometti grassocci in abiti rigidi e rifiniti da piccoli decori metallici, davvero ridicoli. Lui non aveva opposto la minima resistenza quando lo avevano legato, aveva ascoltato le raccomandazioni di Gavril, ma un po' si stava pentendo di non aver dato loro pretesti da raccontare, motivi di vanto, convinzioni che li avrebbero aiutati a camminare nella vecchiaia. Di una cosa era sicuro: non avrebbe abbassato la testa, perché i loro stupidi confini, in cielo, non esistono, e se la sua colpa era stata cavare un occhio a chi da lui voleva la vita, di quanto sangue grondavano le mani di quei carcerieri? Abbastanza da averne tinto le vesti di rosso. E quella era chiamata Giustizia.

Lo fecero sedere a un tavolo di metallo. Davanti a lui, in piedi, in tutta la sua imponenza, lo osservava chi avrebbe dovuto decidere come risolvere quella faccenda.

Un arco bianco, uno dei primi.

Quando Romeo si accorse come lo stava fissando dritto negli occhi ebbe la sensazione che tutto attorno a loro sparisse. Sapeva che l'uomo che aveva aggredito era seduto a un tavolo dietro al giudice con il suo avvocato al fianco, ma non li vedeva. E non sentiva Gavril che appena lui si sedette gli si era avvicinato e gli aveva appoggiato una mano sulla spalla.

Non aveva mai visto un arco bianco e non avrebbe mai potuto immaginare il ghiaccio dei suoi occhi se glielo avessero raccontato, autoritario, arrogante e tiranno.

Non aveva mai visto un uomo tanto alto, giusto i giganti, ma le loro fattezze non erano così eleganti e solenni.

Era un uomo ed era molto bello, con lineamenti del viso delicati, quasi femminili, che provocavano soggezione, piuttosto che attrarre, e stonavano con il suo fisico statuario.

L'aquila sentì i polmoni reclamare aria ed espandersi a forza, sussultò, e lo vide sorridere: si era quasi convinto che quel viso fosse una maschera.

«Nome?» si limitò a chiedere l'arco bianco.
Romeo tentennò e subito l'espressione dell'altro si irrigidì, ma una stretta alla spalla gli diede coraggio. «Romeo.»
«Rapax, immagino.»
Romeo annuì in silenzio, l'aria si era fatta troppo pesante e nella sua testa cominciarono a rimbalzare dei pensieri assurdi.

L'altra parteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora