Quando l'orizzonte respira - V

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Le tempie pulsavano, il pensiero cercava ordine, conforto, ragione.

Si chiese diverse volte quale fosse davvero la sua intenzione, e perché stesse amoreggiando con una creatura che forse avrebbe condiviso con lui giusto una o due notti.

Scese, le sfiorò il costato col respiro e lo accarezzò con le labbra, quando lei lo sollevò.

Cosa stava succedendo? Non voleva capirlo, e nemmeno aveva intenzione di ascoltare l'essere che scalciava nella sua testa gridando al destino che... no, quella non era la prima volta, e no, nemmeno sarebbe stata l'ultima.

Una goccia dell'oceano tratteneva il respiro ogni volta che lui si riempiva la bocca di lei.

La pelle, elettricità sotto i palmi, non aveva altro da dire se non che le piaceva, coinvolta al punto d'avere accettato la ferita passata come quelle che sarebbero arrivate poi.

Una ragazza sbagliata, straniera, stringeva i pugni e tremava, ma non si scostava dalla sua ombra.

L'arco nero si maledì: sarebbe arrivato a divorarla, e non era vero che voleva farlo; gli pizzicava la guancia.

Scese ancora. Il ventre, i fianchi, l'inguine. Era viva, non aveva dubbi.

Pensava davvero che un incubo potesse terminare, all'inferno?

Lei contrasse i muscoli quando lui lambì il suo interno coscia con la lingua. Rise, scattò, cercò di spostargli la testa e di allontanarsi.

Ocram la trattenne e continuò a leccare, a baciare, insistendo proprio dove lei reagiva tanto. Era divertente ascoltarla squittire, tuttavia non era sufficiente per farlo eccitare.

Avrebbe voluto poter dormire.

Le stava in qualche modo mentendo, e mentre la accompagnava al piacere, senza un vero e proprio motivo, senza una regola, si interrogava su cosa fosse giusto: metterla al corrente di quello che sarebbe successo o farla ridere ancora, fino alla fine.

Il tempo era troppo poco per decidere, poco per conoscerla, per amarla o odiarla, per darle anche solo un'idea di vita.

Sarebbe riuscito a ricordarla in quella risata sguaiata o avrebbe dovuto fare i conti con fotografie ben più opprimenti? Forse l'avrebbe semplicemente scordata, supportato dallo stesso poco tempo che in quel momento gli pareva nemico.

La ragazza gli mise una mano fra i capelli e ne afferrò con decisione una bella ciocca, tirò perché alzasse il viso. Lo stava guardando, col fiato rotto, gli occhi lucidi, un broncio abbozzato e ancora qualche strascico di risata. Lo stava supplicando o rimproverando. Poi sospirò, languida.

Non poteva certo capire quello che lui le stava facendo, Ocram ne era consapevole, ma la sentì mormorare un verso indefinito che avrebbe a tutti gli effetti potuto essere una preghiera.

In quel momento fu grato alla sua incapacità discorsiva e si convinse di non poterla comunque accontentare, sobbalzò in una risata trattenuta, ironica, complice, e riportò l'attenzione alla sua intimità, afferrandole le cosce perché non potesse né scappare né chiuderle. Abbassò il viso, sfiorandola leggero con una guancia.

Vicino, a una manciata di millimetri dalle sue labbra, ma senza toccarle, ascoltò in silenzio il desiderio di contatto schiacciarsi contro le proprie mani, e fremere, e irritarsi.

La baciò. Fece passare la lingua sulla sua fessura più volte, senza forzare, la assaggiò con fiati umidi e sorrisi caldi, portandola all'esasperazione.

Era una ragazza nuova, un sottile filo di paura le graffiava la schiena, non capiva cosa stava aspettando, ma lo voleva subito. Alla ricerca di sollievo, si premeva le dita sul ventre e si massaggiava. Ansimava, si lamentava.

L'altra parteWhere stories live. Discover now