Quando l'orizzonte respira - VI

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Più Ocram si avvicinava al tavolo dove i colossi stavano discutendo, più avvertiva stringere la gola: respirava la tensione e non era piacevole, sull'argine del dolore. Stordito dall'ansia e dalla negatività della stanza, peggiorò quando realizzò che Xara non lo aveva chiamato per accompagnare qualcuno al gabinetto.

Il re si era alzato e controllava il cielo dalla finestra, Ocram immaginò quanto fosse difficile per lui accettare il rischio di dover passare la notte lontano dalla principessa.

Lyan si fermò dal massaggiarsi la fronte con i pollici e alzò lo sguardo ai suoi occhi.

Ocram rispose impacciato al suo sorriso di cortesia con un cenno del capo, spaesato dalla pressione di sentirsi fuori luogo in casa propria.

«Accomodati.» Xara lo invitò, spinse indietro la sedia dov'era seduto e allungò un braccio nella sua direzione.

Dei tre sembrava il più sereno, ma Ocram aveva imparato che un arco bianco mostra con molta parsimonia la preoccupazione – cosa che accade un po' con tutta la gamma di emozioni –, come se non potesse mettere in alcun modo in discussione l'esito vittorioso di ogni sfida. Il suo sorriso era la fotocopia di mille altri e, se a Ocram, ridere, serviva per allentare la trazione cronica alle spalle, per l'altro quella era una semplice e perfetta maschera temprata dagli umani in secoli di aspettative.

Ocram ridacchiò: era vero che spesso si ritrovava in braccio a Xara senza sapere bene come, ma farlo davanti a due delle massime personalità del regno degli archi neri non faceva altro che acuire il disagio che lo aveva ormai pervaso.

Eppure, le direttive di un arco bianco non davano spazio a discussioni e Xara non sembrava avere nessuna intenzione di desistere, così Ocram sospirò, abbassò la testa, e si piazzò sulle sue gambe – spalle strette, braccia conserte e gomiti sul tavolo.

«Lyan non è concorde con il mio pensiero,» gli confidò a voce bassa voce, ma non abbastanza da non farsi sentire – l'eccellente saettò gli occhi in direzione di Xara, turbato o da quell'affermazione o dal fatto che il bianco avesse usato il suo nome per introdurre l'argomento – «ma io non condivido la loro convinzione che tu debba essere tagliato fuori.»

Ocram schiarì la voce. «Non ho problemi a starne fuori, è al mio re che devo obbedienza, non a un arco bianco.»

«Hajar è una testa di cazzo, sappiamo che non sei un selvatico, ma sarebbe da ingenui pensare che una vita passata al suo fianco non ti abbia condizionato in nessun modo» stabilì il re – sguardo alle dune – e aggiunse: «Non mi devi nulla oltre al rispetto, e non per la mia carica. Sono solo una pedina particolarmente vistosa, ma né leggi né ordini dipendono da me.»

«Non mi sono mai voluto intromettere tra te e i tuoi simili, adesso siete voi che state chiedendo aiuto a me, non il contrario» precisò l'arco bianco.

Ocram aggrottò la fronte a quelle parole, poi buttò fuori l'aria che stava trattenendo nei polmoni e si appoggiò anche col torace al tavolo. Stavano mettendo la situazione in mano all'amico o cercavano di guadagnare la sua fiducia? Avevano considerato che Xara era stato esiliato? Non poteva recarsi a Sastre e non aveva la minima autorità nei confronti di qualsiasi arco bianco?

«Non possiamo più temporeggiare, Hajar ha dichiarato guerra al regno.» Spiegò Lyan, e Ocram sentì cedere qualcosa dentro.

Viveva di una maledizione dove ogni fiato doveva essere scandito dal nome di Hajar.

Nessuno, nemmeno lui, credeva che quel momento sarebbe arrivato davvero: Hajar aveva dedicato così tanta energia e tempo all'elaborazione del proprio sogno da dare la speranza a chi lo conosceva che si sarebbe fermato lì, perché ne andava fiero, perché gli piaceva. Fino alla fine.

L'altra parteWhere stories live. Discover now