Ricordo futuro - VIII - L'occhio del Diavolo

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"La lettera stava semi aperta sul piccolo tavolo della cucina

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"La lettera stava semi aperta sul piccolo tavolo della cucina. Era posata storta, di fretta, e il lembo dell'ultima ripiegatura ondeggiava assecondando il volere del vento. Del destino. Del Diavolo.

Una delle sedie era caduta ed era stata lasciata a terra con noncuranza; come in una fuga disperata.

L'aria sussurrava segreti dalla finestra, seguiva le pieghe morbide e velate delle tende, e le accompagnava in una danza ipnotica. Piano e delicatamente, al ritmo del respiro delle onde.

Gavril guardava le spalle del piccolo cardellino rosa e tracciava con i pollici la linea sottile della sua spina dorsale, le dita percorrevano la sua schiena e salivano sulle ali tremanti che gli solleticavano il ventre. Si soffermò dove le piume si facevano più rigide, robuste e ne delineò il contorno, una a una; sorridendo a quella pizzicante leggerezza. Scese sotto e di nuovo la consistenza divenne soffice e incredibilmente calda.

Ascoltò le costole e il loro espandersi e chiudersi.

Cardo sudava e stringeva le mani sulle cosce dell'arco nero, teneva il viso abbassato, gli occhi serrati: guardava dentro di sé. Sapeva che il proprio ventre si deformava ogni volta che scendeva su di lui, pieno, distrutto. Si abbracciò forte e pianse, ormai arreso all'idea che sarebbe successo.

La coda del passero si apriva e si chiudeva seguendo il movimento sinuoso dei suoi fianchi , e c'era un momento in cui Gavril si sentiva graffiare dalle penne. Ogni volta che si alzava e ogni volta che tornava giù; segnava il conto e scavava le ore.

Le penne caudali disegnavano il loro domani sulla pancia dell'arco in dodici, dolci e dolorosi, rimbalzi rossi.

Nessuno di loro due aveva il permesso di fermarsi, nessuno avrebbe potuto evitarlo.

Gavril lo sentì stringere, ma non capì se la morsa era al cazzo o alla gola. Strinse i denti e afferrò nei pugni la veste di Romeo, sotto di loro. Non poteva toccarlo, non era suo, ma Cardo lo stava uccidendo.

Cercò di urlare: non uscì nulla; provò a spostarsi, ma pesava troppo; immaginò di aprirsi il collo con le unghie e le mani si fecero un tutt'uno con la seta.

Videro entrare dalla finestra una grande penna marrone scuro. La seguirono nel suo dondolare cullata dal vento, finché non si posò a terra.

Cardo sgranò gli occhi e urlò talmente forte che nella testa di Gavril qualcosa si ruppe. Continuò a urlare, ansia, rabbia, disperazione.

Non c'era nulla.

Poi il passero inarcò la schiena, sempre urlando, e si lasciò andare all'indietro, fino a posarsi con le ali sul torace dell'altro.

Gavril ruggi e il corpo dell'alato rosa si fece acqua. Esplose come un gavettone, lasciando l'arco nero attonito a fissare il soffitto."

Non c'erano più piume, penne o ali.

L'altra parteOnde histórias criam vida. Descubra agora