•7 - Un bacio.

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Ogni rumore attorno a me, è silenziato dalla musica che rimbomba nelle mie orecchie mentre colpisco il sacco da boxe.
Mi sono ripromesso di andare in tribunale, oggi pomeriggio ma adesso non mi sembra più un'idea così bella.

Onestamente non voglio che questa situazione mi faccia perdere il controllo, non adesso che sto riuscendo a non sembrare del tutto un casino. E lo sto facendo solo ed esclusivamente per Jungkook, perché si merita il meglio da me.

Devo testimoniare come ultimo, ma nonostante quel giorno sia ancora così lontano non faccio a meno di pensare a come potrebbe andare.

Ritorno con i piedi per terra, appena qualcuno ferma il sacco e così sbatto le palpebre confuso.
Kookie mi sta guardando, con le sopracciglia aggrottate con mix di preoccupazione e confusione.

«Non ti ho sentito» dico, togliendomi le airpods.
Mi siedo, nel frattempo che mi tolgo i guanti.
«L'ho notato.»
Porta le braccia al petto, tenendo i suoi occhi fissi su di me come se così facendo potesse leggere nella mia mente.

«Non sei obbligato a venire, se non te la senti.»
Scuoto la testa, «devo farlo.»
Si china, appoggiando le mani sulle mie guance e sospira. «Oggi testimonia qualcuno citato dalla difesa, quindi se pensi di non farcela dovresti restare qui.»
So benissimo, cosa sta cercando di dire. Lui ha paura che se dovessi incazzarmi, finirei per perdere la testa. E purtroppo, lo temo anche io.

«Sento di doverci essere, anche se è difficile.»
I suoi occhi si abbassano per qualche istante, come se gli fosse venuto in mente qualcosa che lo preoccupa davvero molto.
«A cosa pensi?» Gli chiedo, facendolo sedere sulle mie gambe. Circonda il mio con le braccia, mordendosi le labbra.
«Eunbi mi ha detto che sarebbe meglio se parlassi di tutte le conseguenze di ciò che è successo.»
Sospira, «ma non credo di essere pronto a parlare della bulimia.»

«Ehi - appoggio una mano sulla sua guancia - non devi farlo, se non sei pronto. Ogni cosa ha il suo tempo, Kookie. Non preoccuparti per questo.»
«Ma voglio qualsiasi cosa per far vincere questo processo a Mina» dice, subito.

Abbassa lo sguardo, «però, al tempo stesso temo il giudizio delle persone.»
«E perché mai dovrebbero giudicarti?» Gli chiedo, aggrottando le sopracciglia.
«Lo sai, è un argomento così complicato che la gente non lo capisce ancora. Non capiscono il motivo un ragazzo sia spinto a mettersi due dita in gola, pur di vomitare tutto quello che ha mangiato. E per quanto provi a spiegarglielo, loro capiranno sempre cose assurde.»

Tira su col naso, «è vero, in quel momento stai vomitando del cibo ma in realtà sono i giudizi, le critiche, il dolore, le parole di troppo che stai buttando fuori. Passavo la notte a divorare qualsiasi cosa trovassi in casa, dolci, patatine, caramelle...e finivo sempre per pensare di dovermi sbarazzare tutto quello che avevo inghiottito e così, restavo inginocchiato vicino al water fino a quando non ero sicuro di aver "tolto" tutto.»

Speravo davvero che prima o poi, me ne parlasse.
È da quando sua madre me l'ha detto, che volevo che lui si aprisse con me su questo ma non ho mai voluto chiderglielo perché era meglio aspettare che lui fosse pronto.
E adesso che so cosa ha passato, vorrei essere stato con lui, in quei momenti, per dirgli che andava tutto bene, che non doveva credere di essere sbaglio. Che tutto sarebbe andato per meglio.

Ma non c'ero. Ed è in momenti come questi, che avrei voluto conoscerlo prima.
Parliamo di un ragazzino di sedici anni, che è stato costretto a spogliarsi per soldi per aiutare la sua famiglia. Che è stato stuprato dal compagno di sua madre. Che ha sofferto di un disturbo alimentare come la bulimia.
Forse, non avrei potuto fare molto e forse non sarei riuscito a fare niente ma almeno, ci avrei provato.

«Guardami» tocco sul suo viso e sorrido. «Grazie, per avermene parlato.»
Prende le mani, facendo spallucce e nel frattempo mi toglie le fasce dei guantoni.
«È complicato da spiegare. Neanche io, ho ancora capito appieno.»
Scuote la testa, «io ero veramente fragile e permettevo a chiunque di ferirmi, fin da quando ero un bambino...avevo sempre permesso alle persone di mettermi i piedi in testa. E non avevo la forza di urlare di smetterla. Mi limitavo a subire. Quindi, quando ho dovuto affrontare la morte di mio padre e quel periodo terribile della mia vita ho pensato di dovermi punire in qualche modo. Ho pensato che era meglio farmi del male da solo, piuttosto che permettere agli altri di farmene. Mi vergognavo di me stesso, non riuscivo nemmeno a guardarmi allo specchio senza provare disgusto.»

STRIP 3 | Madness-Lies Tempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang