Capitolo 59

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Tutti abbiamo una percezione del tempo diversa. La mia è che il tempo è un bastardo, ti porta via sempre le cose ami troppo velocemente.

3 anni dopo...

Mattheo's Pov
"Buon fine settimana, direttore" sentii dire dai miei dipendenti.

"Anche a voi" borbottai senza distogliere lo sguardo dal computer di fronte a me.

"Direttore, non va a casa? Sono quasi le dieci di notte" riconosci la voce di Rosalie, la mia segretaria.

"No, devo finire questo" risposi in tono secco, senza guardarla negli occhi.

"Vuole che l'accompagno a casa? Al meteo hanno detto che scenderà la prima neve questa notte" continuò e cercai di trattenere uno sbuffo.

"Non è necessario" dissi in tono schietto e freddo.

"Allora io vado" la sentii emanare un sospiro di sconforto e capii a cosa fosse riferito.

Ci provava con me da quando l'avevo assunta, ma io la rifiutavo categoricamente. Non era da me avere relazioni sul posto di lavoro.

"A lunedì" replicai prima di sentire il suono dei suoi tacchi farsi sempre più distanti.

Una volta solo sospirai e mi passai una mano sul viso. Ero qui dalle otto del mattino senza aver fatto una pausa lunga più di cinque minuti ed ora era notte. So che potevo concedermi una pausa più lunga essendo il direttore di questa azienda, ma so che mia madre mi squarcerebbe vivo se sapesse che sto oziando anziché lavorare sodo come le avevo promesso.

Una volta concluso il lavoro per lunedì che esporrò ai Giapponesi uscii dal palazzo di cui ero il proprietario e subito l'aria pungente di fine Novembre investii la mia pelle. A Budapest faceva molto più freddo di San Francisco ed anche se ero qui da poco più di tre anni non mi ero ancora abituato ai lunghi cappotti e ai guanti che devo indossare per non prendermi una polmonite.

Testai la tasca del mio cappotto nero e presi le chiavi della mia Porsche nera. Salii sul sedile del guidatore e accesi la macchina azionando il riscaldamento al massimo. Una volta tolti i guanti e aver allacciato la cintura partii andando verso casa.

Quando ero atterrato non avevo la minima idea di dove fossi e solo quando ho letto il cartello Budapest restai colpito da quanto il destino potesse essere bastardo.

Imprecai contro un'auto che si fermò di colpo e schiacciai il freno appena in tempo evitando di andare a sbattere contro la macchina di fronte a me.

"Hai la segatura al posto del cervello!" urlai a denti stretti infischiandomene del fatto che il guidatore di quella macchina potesse sentirmi.

Per fortuna a quest'ora non c'erano molte macchine che passavano per questa strada o se no si sarebbe verificato sicuramente un'incidente e qualcuno avrebbe pagato caro i danni riportati alla mia amata auto.

Suonai il clacson e subito dopo vidi una ragazza scendere dalla parte del passeggero, ristrinsi gli occhi per vedere chi fosse, ma a causa dei fari abbaglianti non potei riconoscerla. La macchina di fronte a me partii spedita e sentii le maledizioni della ragazza, mentre camminava verso il marciapiede, per poi sedersi portandosi la testa fra le mani incurante del freddo o del marciapiede bagnato a causa dell'umidità.

Pensai di andarmene non solo perché erano le dieci e mezza di notte, ma anche perché mi attendeva un sacco da boxe su cui scaricare la tensione accumulata in questi cinque giorni. Subito dopo la mia coscienza si fece avanti ricordandomi che era comunque una ragazza sola in mezzo ad una strada e non sarei un essere umano se facessi finta di nulla davanti a una cosa simile.

NON TI SCORDARE DI MEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora